Un occhio fino come quello del norvegese Aksel Lund Svindal lo aveva detto sette anni fa:
“Quando Paris prenderà coscienza della sua forza e riuscirà a disciplinarla potrà vincere tutto”.
Parole sagge che nelle ultime due stagioni hanno sempre più preso corpo. Il doppio successo nelle
discese di Bormio hanno confermato questo livello. Sulla pista valtellinese non si vince mai per
caso. La Stelvio per un discesista è la pista più difficile del mondo. Faticosissima, al limite dei
crampi; tecnica, perché annovera tutto il repertorio di curve che una discesa può offrire; ma è
soprattutto la velocità a spaventare, non tanto come punta massima, ma per costanza. Si è sempre
oltre i 100 km/h, il tracciato e le variazioni di pendenza non danno all’atleta un attimo di fiato,
sono necessari tanta tecnica, coraggio e resistenza alla fatica. Basta guardare l’albo d’oro di questa
gara che è nel circuito di Coppa del Mondo dal 1993, dove spiccano tutti i fenomeni della velocità
da Walchhofer a Maier, a Ralhves, a Miller, a Cuche.
Paris a Bormio ha vinto più di tutti loro. Perché? Perché la Stelvio, più di ogni altra pista si adatta
alle sue caratteristiche e c’è una componente psicologica fondamentale: gli piace. Su questo
budello di neve Domme può scatenare tutta la sua potenza e far valere tutta la sua scorrevolezza
nei pochi tratti in cui gli sci sono piatti sulla neve. La crescita tecnica delle ultime tre stagioni, come
dimostra anche l’incremento dei risultati in superG, ha fatto il resto. E poi il feeling con i materiali,
sci, scarponi e piastre, che con il suo skiman Sepp, ha messo a punto al meglio ed in cui ripone il
massimo della fiducia (fattore determinante in questa disciplina). Ma forse il quid vincente sulla
Stelvio è un fattore naturale e ben poco allenabile: la “resistenza alla forza veloce”, la capacità di
essere ancora reattivi quando decine di millimoli di acido lattico fanno bruciare i muscoli. Non per
niente, nonostante folate di vento contrarie che i principali avversari non hanno avuto, si è sempre
dimostrato il più veloce nella parte finale di questa pista, dove altri sbavavano le linee vinti dalla
fatica.
E’ difficile codificare questo nostro campione, ha caratteristiche uniche, in gran parte naturali.
Dominik ci ha messo la serietà, l’applicazione continua, la consapevolezza costante che non basta
il talento per vincere. Da ragazzino pareva perso, fra cattive compagnie e qualche birra di troppo,
sino a quando il padre lo spedì per tre mesi lontano da casa in una malga sul passo Spluga a curare
una mandria di mucche. Forse lì, fra silenzi e muggiti, Domme ha imparato la lezione, ha capito che
bisogna lavorare per riuscire, che la vita la fine, nel bene e nel male, presenta sempre il conto.
Paris, nato slalomista, si segnalò nel 2010 all’Olimpiade di Vancouver quando a sorpresa vinse la
discesa della combinata. Grande scorrevolezza su quella neve marcia, ma a quel grande risultato
non seppe dare seguito. A zavorrarlo era qualche chilo di troppo, aveva la forza di un toro, ma non
era ancora un atleta. Piano piano ha perso i chili superflui, tonificato i suoi muscoli, cercando con
umiltà ed intelligenza di affinare la sua tecnica di curva e la sensibilità nella presa di spigolo dello sci. La prima vittoria la centrò proprio a Bormio il 29 dicembre 2012, prima di vincere anche a
Kitzbuehel. Ma è solo nelle ultime due stagioni che ha davvero trovato la sua dimensione.
Al momento i suoi maggiori avversari sono lo svizzero Beat Feuz, un mostro di velocità e regolarità,
gli austriaci Meyer e Kirchmeyer ed i norvegesi Kilde e Jansrud. Con loro è una lotta sempre
difficilissima in cui per vincere è sempre necessario avvicinare la perfezione. Ma Paris può ancora
crescere. Dalle due vittorie di Bormio dello scorso anno (discesa e superG) l’azzurro ha cambiato
dimensione: l’ennesimo successo sulla Streif di Kitzbuehel gli ha fatto capire che quando non
sbaglia grossolanamente è difficile batterlo. Dove può crescere? A trent’anni Domme è un atleta
completo e forse può salire ancora un gradino, battendo le remore che ancora lo assalgono in
punti critici di alcune piste, come la “S Kernen” a Wengen, un passaggio stretto che non ha mai
digerito, la parte finale del pianetto prima del precipizio sulla Bird’s of Prey di Beaver Creek, dove
non ha mai trovato il tempo dell’azione, o gli scorrimenti troppo lunghi per lui della Val Gardena.
La prova si avrà già a metà gennaio nella discesa di Coppa del Mondo a Wengen. Sediamoci ad
aspettarlo, sarà comunque uno spettacolo.