Siamo sicuri che il tennis sia sempre lo sport individuale portato all’eccesso, quello che esalta l’ego fino alle estreme conseguenze? Le cartoline che arrivano dall’Australia al via della stagione 2020 sembrano fotografare piuttosto la partenza di un mondiale di calcio, di basket o di rugby, per quanto sono affollate di volti noti, uniti, sodali, quasi fraterni. Lì dove ci hanno sempre raccontato che non ci possono essere amici, ma solo colleghi, compagni di cordata perché alla fine della corsa eccelle uno solo, a braccetto del più grande tiranno dello sport: la vittoria.
Dove sono finite le grandi individualità, gli egoisti più sfrenati e sfrontati, i nemici veri, cattivi, antipatici. Anzi, proprio odiosi? Il web ribolle piuttosto di sorrisi e soddisfazione, dichiarazioni al miele e letterine di buoni propositi da bimbetti da libro Cuore. Sulla scia di altre manifestazioni buoniste che traboccano di zucchero filato, come la Laver Cup, nella quale le bandiere di Europa e Resto del Mondo, mescolano addirittura i rivali storici Federer e Nadal. Ma lì il gioco è abbastanza chiaro, è uno show bell’e buono, una ricca esibizione, un’eccezione alla regola, un regalo confezionato ad hoc per i miti del tennis, vuoi etichetta del torneo (come Laver), vuoi organizzatore (come Federer).
Anche le riuscitissime Next Gen Finals non distribuiscono punti per la classifica ATP e custodiscono così valori e comportamenti altrimenti difficili nel panorama del tennis stagionale. Anche lì la squadra, il gruppo, lo stare insieme col sorriso sulle labbra, la bandiera – in questo caso dei giovani, degli under 21 -, ha dato una mano inattesa all’ATP nel temutissimo trapasso dai Big4, le super-star Roger Federer, Rafa Nadal, Novak Djokovic e Andy Murray a un futuro oscuro. Agevolando l’innesto della generazione più prolifica di sempre di talenti medio-alti del tennis Open, da Sascha Zverev a Stefanos Tsitsipas, da Daniil Medvedev a Denis Shapovalov, da Karen Khachanov a Felix Auger Aliassime, da Andrey Rublev ai nostri Matteo Berrettini e Jannik Sinner. E questo fa comprendere meglio la situazione anomala che accompagna il varo della stagione che parte con la ATP Cup, la nuova gara a squadre per nazioni, riedizione della Coppa delle Nazioni di Dusseldorf, riveduta e corretta, in Australia, per rifinire con partite vere la preparazione dei nostri eroi nella leggerezza dell’estate down under”.
Ma, dimenticati per un attimo le distrazioni di sole e mare, koala e canguri, nella sua essenza, l’ATP Tour non è tutt’altra cosa?
Dove sono gli indomiti guerrieri, i novelli eroi della mitologia che affilano e armi prima della battaglia dell’anno alle porte?
Dove sono le facce truci, le minacce, le liti, la brama di vittoria e di dominio?
Sappiamo bene che l’agonismo è sempre acceso, sotto la cenere di quest’ennesima campagna pubblicitaria su scala mondiale, e sta per liberare uno spettacolo ancor più straordinario fra le ultime magie nei tornei dello Slam che possiamo attenderci dai leggendari Fab Four e quelle sempre più scintillanti e spietate, dei giovani emergenti. Anche se, almeno fino al 20 gennaio, quando partiranno gli Australian Open a Melbourne, l’atmosfera rischia di rimanere troppo dolce, alla camomilla, proprio per sostenere la prima ATP Cup che si contrappone alla nuova, discutibile e discussa, coppa Davis targata Piquè. A rischio di mascherare lo spirito di una delle sigle più ricche e famose e feroci dello sport professionistico mondiale, come l’ATP.
In questo quadro un po’ sconcertante, arricchito dal ritorno sulla scena, da capitani non-giocatori di icone come Lleyton Hewitt e Marat Safin, si innescano le parole di quell’anima candida di Shapovalov, il canadese della straordinaria filiera russa: “Sarebbe formidabile avere una sola coppa del mondo di tennis. Spero che finiscano per mettersi d’accordo. E’ quanto meno bizzarro di giocare a fine novembre una gara di questo tipo e poco dopo, già a gennaio, un’altra, sullo stesso modello”.
Questa non è solo una pia speranza boicottata dal dio dollaro e dalle guerre di potere che travagliano da sempre il tennis: è la prima, grande, battaglia politica per la coppia italiana al vertice dell’Atp, Andrea Gaudenzi e Massimo Calvelli.Bisogna far chiarezza, snellire il calendario, evitare di cadere nella nuova trappola dello sport. Dettata dalla tv. Che vuole gare miste, uomini e donne insieme, comunque a squadre, sempre più veloci e programmabili per gli sport pubblicitari.
La bellezza degli sport individuali sta invece proprio nel dubbio della battaglia, con l’incertezza del tempo che ci vuole per piegare l’avversario, senza ‘se’ e senza ‘ma’. Che sia avversario vero, non sorridente e compagnone, che dà consigli a bordocampo e poi fa gruppo a cena con gli amici, tutti insieme appassionatamente. Senza arrivare agli eccessi di un tempo, con Jimmy Connors che scavalca il net e va col ditino sotto il naso di John McEnroe minacciando di sculacciarlo per la sua impudenza. O no?
*Articolo ripreso da www.supertennis.tv