Capitano, mio capitano. Nella formula, la nuova Atp Cup in tre diverse città australiane dal 3 al 12 gennaio, con 22 milioni di dollari e anche i punti Atp in palio, somiglia molto alla nuova coppa Davis formato Piqué nel formato di due singolari e un doppio, e nei due set su tre. Ma, per quanto riguarda il ruolo del capitano non giocatore, è l’evoluzione della specie, lo sprint della specialità, oltre che una sfida nella sfida. Perché, con tutte quelle facce note che mette in campo, non con la racchetta in mano ma da regista, in panchina, sembra trasformarsi in una tappa del Senior Tour. Schierando addirittura quattro ex numeri 1 del mondo: Boris Becker, Lleyton Hewitt, Thomas Muster e Marat Safin. Che spiccano fra gli ex colleghi di nome, come Gaston Gaudio e Tim Henman, e capitani-giocatori come Grigor Dimitrov, nel segno di una continuazione che fa onore al tennis. Nel collegare momenti diversi del movimento e della sua evoluzione tecnica e culturale, mantenendo salde le proprie radici. E riallacciando i ricordi.
I capitani hanno funzioni, personalità, stili, responsabilità e obiettivi diversi. Molte sono le pressioni che gravano sul pittoresco Hewitt, non più “Lleyton il selvaggio” di quando correva come un furetto in campo ma sempre più saggio e pacato gestore del bizzoso puledro Kyrgios come del docile De Minaur, peraltro suo allievo anche sul circuito Atp. Hewitt è bravissimo, vive il ruolo alla pari con ragazzi coi quali, a quasi 39 anni, può ancora sostenere allenamenti veri, in campo, pur riuscendo a tenere separati i ruoli, fuori. Più complicato il compito del 52enne Boris Becker che, malgrado si impegni tantissimo anche lui, trova con difficoltà il puntro di contatto col numero 1 della squadra, Sascha Zverev. Povero “Bum Bum”: s’è messo a dieta, dopo le operazioni alle anche, è meno rubicondo, ma comunque sempre un po’ traballante sulle gambe quando si alza dalla panchina per i suoi ormai consueti stracciamenti coi giocatori tedeschi, pieno di pacche sulle spalle, di cinque alti, di pugni chiusi che salutano ogni chiusi, ma la sua presenza è più iconica che concreta.
Marat Safin, che a fine mese compie 40 anni, gioca molto sull’ironia, sul quel sorrisetto beffardo di chi la sa lunga, ma sa essere anche molto deciso nello scuotere, per esempio, Khachanov, nel primo set contro il nostro Tartaglia. E, con la coda dell’occhio non lascia mai il computer-spia delle statistiche di gioco. Altra novità di questa coppa. A testimonianza del legame sempre più stretto dello sport mondiale con le tecnologie. Anche se, quando il 23enne del suo squadrone, proprio s’inceppa con la prima di servizio, torna alle vecchie maniere, alle indicazioni classiche. “Lanciati la palla più in alto, colpiscila più sù”, incita il numero 2 della formazione dietro Daniil Medvedev, per il quale Marat ha un debole. Il sistema funziona per la soddisfazione di tutti, primo fra tutti Khachanov che abbraccia e ringrazia pubblicamente il ct. Che rientra al tennis dopo l’esperienza nella politica: “Sono molto contento di come rendono i ragazzi, sto cercando di aiutarli più posso, mi diverto ad analizzare i punti e i diversi modi di giocare, vedremo se in futuro ci saranno altre esperienze così”.
A 53 anni, Thomas Muster fa da papà al suo erede, Dominic Thiem, dai consueti alti e bassi. Di certo, lo scuote molto, lo responsabilizza, lo coinvolge, lo costringe a mantenere alta l’attenzione non solo in campo, nel derby contro Schwartzman, anche come numero 1 della squadra, in panchina. Ma è soprattutto bravissimo a motivare il numero 2, Dennis Novak, fino a fargli sconvolgere i piani dell’Argentina con la clamorosa rimonta contro Pella. Più difficile il compito del 45enne Tim Henman, sempre così compito ed elegante e moderato, che però proprio non riesce a rivitalizzare Edmund nella sua crisi di fiducia. Così come non gli è facile aiutare il talento degli alti e bassi, Dan Evans. Una volta che il vero numero 1, Andy Murray, ha gettato la spugna disertando l’intera trasferta australiana per i nuovi guai fisici.
La vita è ancora più dura per l’ex genietto di Argentina, il 42enne Gaston Gaudio che un tempo faceva il pesce in barile nelle lotte intestine fra Nalbandian e Del Potro. Mentre è relativamente facile per il 43enne Nenad Zimonjic, l’amicone del clan serbo, dove domina Novak Djokovic, così come per l’ex pro Francisco Roig, il 51enne che ha in squadra il numero 1 del mondo, Rafa Nadal; vale anche per Apostolos Tsitsipas che gestisce la giovane Grecia con in squadra il figlio Stefanos; ed è lo stesso per l’altro ex pro, il 47enne Christian Ruud, forte dell’appoggio del figlio Casper. Molto più delicato il ruolo per Gilles Simon, il 36enne che guida la Francia di quei pazzerelli di colleghi, Monfils e Paire. Così come per Adriano Fuorivia non è semplice gestire due star come Shapovalov ed Auger Aliassime, amici sì, ma anche dalla spiccata personalità. E certamente tante sono le pressioni su Alberto Girando, che si ritrova all’improvviso in panchina al posto di Corrado Barazzutti, con un upgrading accelerato, da allenatore di Fabio Fognini. Anche se subentrano gli aiutini dei coach privati aggregati. Che fanno gruppo e danno un contributo continuo di suggerimenti e consigli. Nello stile di una gara molto “easy going”, molto australiana.
*Articolo ripreso da www.supertennis.tv