Medvedev, Tsitsipas, Rublev, Khachanov o Shapovalov? Sfogliando la margherita, su quale e quanti NexGen avreste puntato nelle semifinali degli Australian Open? I Magnifici tre, i grandi “vecchi” Federer, Nadal e Djokovic, promettevano ancora battaglia, ma nel primo Slam dell’anno era prevedibile che ci fosse un primo, importante, passo avanti della “meglio gioventù”. Che negli ultimi anni ha fatto passerella alle NextGen Finals di Milano.
Invece tutti, a cominciare dai più rodati, il 23enne Daniil Medvedev (n. 4 del mondo) e il 21enne Stefanos Tsitsipas (6), sono scivolati prima del previsto, peraltro contro due protagonisti recuperati come Wawrinka e Raonic. A tener alta la bandiera dei giovani rimane quindi il solo Sascha Zverev, appena uscito dai NextGen di nome, coi suoi appena 22 anni, ma capace già due anni fa di arrivare al numero 3 del mondo al punto di disertare il Masters dei NextGen under 21 per disputare direttamente quello dei grandi, a Londra, l’unico peraltro, al di fuori dei primi quattro (incluso quindi Andy Murray, oltre a Roger, Rafa e Nole) ad essersi già aggiudicato tre tornei Masters 1000, stabilizzandosi saldamente dal 2018 fra i “top 5”, firmando già 11 titoli Atp.
Parliamo quindi di un NextGen spurio, improprio, perché ha saltato la nuova categoria creata come palestra per allevare gli eredi dei “Fab Four”. Ecco perciò che il primo Major della stagione boccia già i progressi dei NextGen tradizionali, ancora indietro di esperienza nei super-tornei al meglio dei 5 set.
La presenza di Zverev nelle semifinali degli Australian Open è inedita. Il campione della prova junior di Melbourne 2014, è stato bocciato nel tabellone pro alla prima esperienza, nel primo turno 2016, nel terzo nel 2017 e 2018 e nel quarto turno l’anno scorso. Stavolta, invece, ha infilato Cecchinato, Gerasimov, Verdasco, Rublev e Wawrinka, i primi quattro senza perdere set, circostanza davvero insolita per lui che in genere, in passato, ha disperso set ed energie psicofisiche a iosa nei primi turni.
E’ una sorpresa? Sì e no. Perché gli alti e bassi di Sascha, ritemprato a settembre dalla Laver Cup col suo idolo e capo-squadra nel Team8, Roger Federer, sono tanti e clamorosi. Come l’ultimo: da entusiasta semifinalista al Masters di novembre, dopo aver battuto Nadal e Medvedev, a deludentissimo numero 1 della Germania nell’ATP Cup di fine dicembre-gennaio, battuto da De Minaur, Tsitsipas e Shapovalov: “Insieme al servizio e ai colpi da fondo, avevo perso il ritmo, la fiducia, tutto”.
Come mai si è ritrovato all’improvviso, e proprio in Australia, superando il miglior risultato di sempre negli Slam degli ultimi due quarti del Roland Garros?
“Ho tolto un po’ di pressione, e ora siamo tutti contenti, io, papà e la mia ragazza” (Brenda Patea per i curiosi), rivela lui al microfono in campo a Melbourne. Non ha cambiato granché del suo arsenale, accanto al solito papà-coach non ha aggiunto super-coach, dopo i polemici divorzi con gli ex numeri 1 del mondo e campioni Slam, Ivan Lendl e Juan Carlos Ferrero. Ha mixato quest’ultimo cocktail vincente con un pizzico di umiltà, finora inusuale per lui, accettando di giocare più di rimessa, in difesa, oltre la riga di fondo sperando così di ritrovare un po’ di regolarità e di fiducia. “Il primo match non è stato il massimo, ma l’ho vinto, e così anche il secondo, poi ho giocato un po’ meglio, sapevo che il torneo darebbe stato un lungo processo di recupero, ma certo devo salire ancora tanto”.
Sempre alla ricerca di una nuova serenità, dopo le dispute con l’ex manager e le minacce di una causa legale di svariati milioni di dollari dell’anno scorso, quand’è crollato clamorosamente già al primo turno a Wimbledon, Sascha il campione annunciato ha stupito tutti con la promessa, in caso di trionfo, di donare l’intero montepremi degli Australian Open alle popolazioni colpite dai rovinosi incendi di fine ed inizio anno. “In famiglia mi hanno insegnato che bisogna aiutare chi ha bisogno e, anche se quattro milioni di dollari sono tanti soldi, penso proprio che qui ci sia tanta gente che saprebbe bene come usarli”. Liberandosi quindi di un altro po’ di pressione e garantendosi qualche tifoso in più, in loco, che non fa mai male.