Il “Sunshine Slam” abbaglia il torneo delle donne decapitando a sorpresa le favorite Osaka, Barty ed Halep. A Melbourne, va in finale la picchiatrice Garbine Muguruza, che ha il vizietto di addormentarsi per mesi e anni ma ha già vinto due Slam, è arrivata al numero 1 del mondo e sembra più forte con accanto a tempo pieno l’ex pro Conchita Martinez. A sfidare i suoi famosi blocchi di panico, trova la trottolina Sofia Kenin, una leonessa tosta, immigrata dalla Russia ed allevata sul cemento Usa. Al di là della classifica a favore della statunitense (numero 15 contro 32), dell’esperienza pro-Muguruza (26 anni contro 21 d’età, 8-2 da professioniste) e dell’unico precedente vinto sempre dalla spagnola l’anno scorso a Pechino, il pronostico è davvero incerto, ancor di più dopo le semifinali equilibratissime vinte, curiosamente, con lo spesso punteggio dalle due giocatrici così diverse fra loro, 7-6 7-5, rispettivamente, la spagnola contro Halep, la statunitense contro Barty. Forse Muguruza può sentirsi un po’ più forte dopo il tabellone più duro che ha superato rispetto a Kenin, ma come al solito molto si giocherà nelle teste delle due protagoniste. Un campo nel quale Sofia sempre più forte.
Intanto, Roger Federer lascia metà delle sue gambe nei cinque set e nei sette match point salvati contro Sandgren: anche se in semifinale parte meglio di Novak Djokovic, il suo vantaggio iniziale è effimero e fuorviante, in realtà Novak, lotta soprattutto contro il tourbillon che gli affolla la testa ma appena mette in azione i portentosi stantuffi delle sue fantastiche gambe, il suo implacabile gioco da fondocampo si rimette in azione, la racchetta effettua traiettorie che spolverano le righe tagliando il campo a fette e spezzando l’ultima parvenza di gambe e di fiducia di Roger. Gli Australian Open sono il primo dei 16 Slam conquistati finora da Nole, e anche quello che si è aggiudicato più volte (7), forse perché riceve più affetto dal pubblico che in qualsiasi altro torneo lontano dalla Serbia, e l’assenza di Nadal e Federer costituiscono un ulteriore vantaggio nella corsa al numero 17. Cioè a tre tacche appena dal record di Roger il Magnifico e a due da Rafa.
Djokovic sarà comunque il favorito, domenica, per il titolo, chiunque sia il suo avversario nella sfida fra i picchiatori Dominic Thiem e Sascha Zverev. L’austriaco e il tedesco sono amici, condividono lo sponsor e spesso gli allenamenti, oltre che i demoni dei loro alti e bassi nel violento bum-bum da fondocampo a tutto braccio. In questi dieci giorni hanno fatto tutti e due grandi progressi di gestione delle emozioni e delle forze, ma forse Thiem, che è in vantaggio d’età e d’esperienza su Zverev (26 anni d’età contro 21), come anche nei precedenti (6-2), pur vicinissimo in classifica (numero 5 del mondo contro 6), è leggermente favorito dall’essere arrivato già cinque volte così lontano in uno Slam, mentre Sascha è all’esordio fra gli ultimi 4 dei Majors.
In realtà, a ben leggere, proprio questo dato può risultare un boomerang per “il nuovo Muster”. Che, finora, prima di Melbourne 2020, ha giocato sì due semifinali e due finali Slam consecutive, ma sempre e solo sull’amata terra rossa del Roland Garros, trovandosi sempre la strada sbarrata da uno dei Fab Four, nel 2016 Djokovic e poi sempre Rafa. Come reagirà dopo la partita perfetta disputata proprio contro il terribile Moloch di Maiorca cui tanto somiglia come gioco e che finora l’aveva sempre stoppato? Riuscirà a ripetersi o accuserà il possibilissimo calo psico-fisico che segue tradizionalmente le grandi imprese? Saprà reggere all’idea della grande occasione di coronare i progressi anche sul cemento?
I netti successi di Melbourne contro Rublev e Wawrinka, picchiatori temibili come Thiem, fanno sperare Zverev. Che, finalmente, arriva nella seconda settimana degli Slam con le gambe e la mente leggere. Pronto a sparare tutte le sue cartucce. Elementi che possono fare la differenza. Insieme al suo sorriso aperto, alla motivazione extra di poter donare davvero i 4 milioni di primo premio alle popolazioni locali vessate dalle calamità naturali d’inizio anno. Mantenendo la promessa più generosa che sia mai stata formulata da un tennista. Forse anche da un atleta.