Oggi 10 aprile 2020 è il giorno del suo 27° compleanno e lui il n.8 della Nazionale di rugby, Maxime Mbandà (20 caps), flanker delle Zebre appena inserito nel XV ideale della stagione della conference A del Pro14, in una terza linea completata da Will Connors (Leinster) > e Marcell Coetzee (Ulster), lo passerà a bordo di un’ambulanza perché, scoppiata l’emergenza Coronavirus, non ha esitato a togliersi la maglia da rugbista per indossare quella di volontario all’Associazione SEIRS Croce Gialla di Parma, divenendo un monito, un simbolo per tutti. Questa la chiacchierata che avevamo avuto qualche giorno fa al telefono.
Come va?
“È dura, non sono abituato a questo campo. Cerco di fare del mio meglio per aiutare in questa emergenza, ma non avevo mai fatto prima il volontario e a livello mentale è molto impegnativo. C’è molta sofferenza tra i malati e chi non è intubato cerca il dialogo. Sono sempre racconti pieni di tristezza e così cerchi di rassicurarli il più possibile”.
Come hai iniziato?
“Con il servizio trasporto alimenti e medicine agli anziani e la preparazione del kit sanitario. Poi già il secondo giorno mi hanno assegnato al trasferimento dei pazienti da un ospedale all’altro”.
Una crescita dovuta all’emergenza?
“Sì, ma soprattutto perché grazie all’esperienza vissuta sul campo da rugby ho appreso in fretta. Ho studiato le modalità operative di come trasferire in sicurezza i pazienti e di come tutelare te stesso perché sei a contatto con pazienti infetti. Quindi ho imparato a indossare nel modo corretto i dispositivi di protezione personale, calzari, guanti doppi/tripli…”.
Non puoi abbassare mai la guardia…
“La concentrazione non può lasciarti mai, il minimo errore ti condanna. Devi rimanere concentrato sempre per tutelare te stesso e la tua famiglia per quando torni a casa”.
Come l’hanno presa?
“Sono tutti consapevoli del rischio, ma hanno capito il perché lo faccio e si fidano di me. Mi hanno dato il loro appoggio incondizionato, la mia famiglia e la squadra. È per questo che posso operare con tranquillità. Vado dritto per la mia strada: il mio unico pensiero è aiutare, come posso. Ci sarò sempre, fino a quando servirà.”.
Tu vivi a Parma, i tuoi a Milano: vi sentite?
“La sera, sempre. Ci supportiamo a vicenda. Mio padre è medico ed è anche lui in campo, a Milano, in guardia medica”.
Com’è la tua “nuova squadra” alla Croce Gialla?
“Sono ragazzi più adulti. Mi hanno accolto a braccia aperte, a me e agli altri volontari che hanno aderito. In tanti vista la mia decisione mi hanno chiamato per sapere a loro volta come essere d’aiuto e ora molti tra loro per es. rispondono al call-center.”.
Sai di altri rugbisti che hanno seguito il tuo esempio?
“Sì, Rugby Viadana, Rovigo. A Bari hanno donato il sangue all’Avis e anche le Rose Nere, la squadra di rifugiati che seguo a Casale Monferrato, si sono attivati: in 3 ora aiutano la Croce Rossa locale. Il messaggio è passato e sono contento”.
Dicono che questa tragedia modificherà per sempre il nostro stile di vita: secondo te?
“Ovviamente ci sarà più concentrazione su come si faranno le cose. Certo all’inizio ci sarà diffidenza, perché chi ha avuto a che fare con il virus ed è stato intubato sarà molto guardingo. Spero ci sarà un mondo più pulito, rispettoso dell’ambiente e delle morali da seguire. In quarantena stiamo riscoprendo ciò che è veramente importante. L’emergenza fa capire quanto vano sia seguire le mode del momento, l’apparenza e si riscoprono la famiglia, l’amore e la salute. Sono le basi del buon vivere.”.
Torniamo al rugby: cosa pensi della sospensione del campionato?
“Ci è voluto del gran coraggio ed apprezzo il gesto del presidente Gavazzi. Non era facile prendere una simile decisione (ndr la FIR è stata la prima federazione a decidere la sospensione di tutte le gare): noi come rugbisti dobbiamo dare l’esempio. Lo sport è importante, ma la salute ora è la cosa più importante, tutti hanno il diritto di vivere la loro vita nel migliore modo possibile e noi ora come rugbisti, così come tutti gli altri sportivi, dobbiamo impegnarci ad aiutare la comunità.Lo sport è sostegno dentro e fuori dal campo”.
È un appello chiaro il tuo: ognuno faccia la sua parte, come può…
“È un messaggio che rivolgo soprattutto a noi giovani. Siamo cresciuti con i social-media e per noi è più facile approcciarci al mondo digitale, ma tanti anziani sono a casa da soli, a volte senza tv, senza parlare con nessuno e 24 ore per loro sono infinite. Spetta a noi giovani, ciascuno nel suo piccolo, in totale sicurezza, anche solo alzando la cornetta, far sentire loro la nostra vicinanza. Tutti abbiamo parenti amici anziani che hanno bisogno di sentire anche solo la nostra voce, chiamateli”.
Affrontiamo un nemico invisibile
“Sì. Lo riconosci solo quando ti colpisce. Purtroppo l’abbiamo capito troppo tardi, ma è una realtà talmente nuova … sembrano scene viste nei film. Sembravano realtà così lontane e ci siamo trovati immersi, ma il nostro sistema sanitario ha dimostrato il suo valore. Ora spetta a noi, tutti insieme, senza polemica, agire con determinazione”.
Com’è la tua giornata?
“Arrivo in sede tra le 8 e le 9. Dopo il breefing iniziale in cui ci vengono assegnati i servizi da effettuare, veniamo divisi per ambulanza, 2 persone e si parte! Non sai quando torni e quando pranzi, devi armarti di tanta pazienza e buona volontà. Alla fine del turno sei stanco, mentalmente e fisicamente, però poi pensi a chi è ricoverato e aspetti la mattina per poter essere di nuovo in campo”.
Vuoi dare un ultimo messaggio? “Dobbiamo mantenere la concentrazione e fare ciascuno di noi la sua parte. E così ci vedremo presto sui campi di rugby!”.
Benedetta Borsani