Immaginatevi una mosca imprigionata in un barattolo di vetro. Impazzita per l’assenza di aria volerà da una parte all’altra nell’angusto spazio sino a placarsi, esausta, sul fondo. In attesa che qualcuno le conceda uno spiraglio, una via di uscita. Ecco, il calcio è come quella mosca, in preda al terrore. Un terrore che mette sul tavolo interessi larghissimi nutriti da milioni di euro che si assottigliano inesorabilmente. La exit strategy non esiste, resta la speranza che l’incubo svanisca tanto in fretta, così come è arrivato. Ma l’incertezza prolunga l’agonia, l’indeterminatezza del futuro sbatte contro i protocolli o con il dubbio di quanto possano essere letali, una volta ricominciata la danza del pallone.
Le Federcalcio, in questa logica condivisibile dell’andare avanti a tutti i costi, è rimasta spiazzata dalla decisione della Lega pro di chiudere baracca e burattini. Tre gironi finiti, promozioni decise a tavolino seguendo la logica delle classifiche: Monza, Vicenza e Reggina spedite in B con l’apporto del Carpi prescelto secondo un sofisticato peso dei punti e delle graduatorie dei raggruppamenti. Tutto questo mentre la rabbia delle altre papabili al quarto seggio è esplosa, giustificabile, ma senza un percorso che porti alla soluzione del problema. Che è forte, è ben presente con tutti i suoi pericoli di corsi e ricorsi in quel balletto di carte bollate che hanno spesso popolato le estati del calcio piccolo, quello della Lega pro, appunto.
Il decreto Rilancio contiene però una norma che sembra escludere la possibilità di battaglie legali: sarà nel diritto della Federcalcio decidere senza contraddittorio, in presenza di evidente emergenza, i risultati sportivi dei campionati. Decisione tombale per chi, come il Bari si sente fuori gioco non per un gol in fuorigioco, ma per il fuorigioco del Covid 19. Sicuramente le prime prescelte hanno il vantaggio anche sportivo di essere le dominatrici e quindi delegate al grande salto. Per il resto….Ecco perché la Federcalcio non ha ancora approvato le scelte legittime della Lega Pro e in cuor suo, nonostante lo Zoncolan da scalare(Albertini dixit), continua a sperare, come la mosca, che qualcuno alzi il barattolo e la lasci volar via.
Bisogna essere realisti: le difficoltà di ripartire che stanno imprigionando le grandi della serie A, i protocolli pieni di insidie, il ruolo dei medici sportivi, il disagio anche di molti giocatori (in Inghilterra si riparte, ma gli atleti non sono d’accordo) non sembrano far evolvere la situazione nel migliore dei modi, almeno sino a quando il virus, subdolamente, resta in agguato pronto a riprendersi la prima pagina a suon di contagi. Una situazione kafkiana che non si sa come prendere, pur con la buona volontà e le iniziative ottimistiche. Mentre la B è appesa alla decisione dei suoi medici sportivi che non ne vogliono sapere di riprendere, la Lega pro ha fatto la scelta che drasticamente taglia la testa al toro. Vista con l’occhio di oggi può essere una scelta antisportiva, ma alla lunga può rivelarsi meno scellerata di quanto si pensi.
Mai ci saremmo aspettati, pur tra i tanti guai del calcio, che i calciatori venissero messi in cassa integrazione, con lo Stato che si sostituisce alle società ben liete di togliersi il fardello degli stipendi. Ciò significa che a casse vuote la ripartenza è una chimera, o forse un altro Zoncolan da scalare. In questi anni giustamente si è discusso di quanto la Lega Pro fosse una categoria con numeri di squadre ben superiore alle capacità del movimento, le resistenze alla riforma sono state numerose, legittime, ma in controtendenza con la realtà. Poi arriva dalla Cina il Covid19, pascola sulle nostre terre mandando all’aria il sistema e provocando la selezione naturale anche nel calcio. Quante di queste piccole società che formano il tessuto connettivo del sistema, riusciranno a iscriversi, a far fronte alle spese, agli stipendi, ai bilanci? La domanda fa venire i brividi e la Lega Pro ha forse pensato che chiudere tutto sarebbe stato meglio che prolungare l’agonia. E se risorse ancora esistono, meglio metterle da parte per quando tutto riprenderà il suo flusso, forse anche gli stadi pieni di gente, o anche dei pochissimi fedelissimi supporters.
Forse i dirigenti della vecchia C sono consapevoli, più di quanto lo sia la Federcalcio, che le prospettive sono nerissime e che stravolgeranno gli schemi sin qui percorsi, proponendo alla fine un numero minore di squadre, con bilanci dimagriti, calciatori meno pagati e riflessioni sull’opportunità, oltre alla grande passione, di continuare. Il post c.v. (coronavirus) è tutto da scrivere e pensarci adesso, senza cullarsi dietro le speranze di un presente ancora nebuloso, forse può rivelarsi la ricetta giusta. Il tema era: Monza, Vicenza e Reggina hanno meritato di salire in B a campionato non ancora concluso? Sì per ciò che hanno fatto sinora, per il dominio tecnico dimostrato, per la forza delle rose e delle organizzazioni societarie che pensano in grande. Tuttavia se mai il campionato, contro il parere della Lega pro, dovesse ripartire su spinta della Federcalcio, ci troveremmo di fronte a qualcosa di diverso, completamente diverso e che avvelena la regolarità della stagione. Non è un discorso solo legato al calcio di C, ma anche alla grande serie A che ne vedrà stavolti i canoni, gli stili, le forme. Avremo uno scudetto, promozioni, retrocessioni. Non sappiamo se avremo ancora il calcio come lo abbiamo vissuto negli ultimi settant’anni.
Calcio in bilico: gli interessi stravolgono il senso del gioco
La Federcalcio è rimasta spiazzata dalla decisone della Lega Pro, mentre la B è rimasta appesa alle decisioni dei medici sportivi...