Massimo Scarpa, il direttore tecnico della squadra nazionale professionisti ha riaperto le porte del centro tecnico di Sutri (Viterbo): da lunedì a venerdì testa 20 giocatori nazionali professionisti, da Matteo Manassero e Francesco Laporta, ai giocatori del Challenger ed Alps Tour. Mentre quelli già strutturati, col loro team, si organizzano in proprio.
Che significato ha questo primo raduno azzurro?
“Cinque giorni per vedere come stanno i giocatori, a che punto sono tecnicamente e fisicamente in questo momento e, soprattutto, come reagiscono alle prime sollecitazioni quando sotto pressione, con una simulazione della gara”.
Che tipo di test fa?
“Due giri di prove e due di gara vera e propria, proprio come avviene nei tornei cui erano abituati prima che il Corona Virus bloccasse così tanto, e per la prima volta, tutto. I raduni li abbiamo sempre fatti, ma in genere in quei momenti rivediamo la parte tecnica, tutte le cose che non vanno dopo la stagione, e rimettiamo tutto a punto. Più complicato è riprodurre la situazione di gara, quella che i giocatori avevano invece in automatico, visto che sono impegnati nei vari tornei di settimana in settimana. La sfida vera è altra cosa rispetto all’allenamento”.
Nel golf il recupero dopo una pausa tanto lunga è più complicato rispetto ad altri sport?
“Non lo so: non esiste uno storico, una sosta così lunga non l’avevamo avuta mai. Suppongo che il giocatore di talento farà meno fatica di quello macchinoso, e quindi che la sensibilità prevarrà sulle qualità che in genere hanno il sopravvento, come ripetizione, caparbietà e motivazioni. A differenza del tennis, nel golf si resta in campo molto più tempo ad allenarsi ogni giorno, anche cinque ore, tutti i giorni. E tutte queste ore si sentiranno”.
Lei personalmente come ha vissuto il ritorno sul green?
“Io ho sempre avuto mani buone e quindi non ho sofferto nel colpire la palla anche dopo questa clausura, ma ho fatto ridere mio moglie e mio figlio quand’ho provato a fare delle cose che prima facevo facilmente, con la abitudine”.
Che sorpresa si attende dai giocatori?
“Mi aspetto che quando si giocherà per qualcosa, quando la sfida si trasferirà in gara, vedremo colpi più inusuali del solito perché la pressione salirà”.
Chi nel golf ha sofferto di più questa clausura?
“Tutti. I circoli hanno sofferto economicamente e anche perché i campi sono vivi e hanno bisogno di manutenzione, di essere sempre curati. Figurati con una primavera così bella, senza pioggia. E hanno sofferto sicuramente i golfisti che sono abituati ad una routine giornaliera particolare, infatti, quando hanno riaperto i campi, sono andati tutti a giocare”.
L’attività ufficiale ancora non è ripresa ma la FIG offre una grande occasione ai professionisti di riprendere la mano, sul campo.
“La Federazione italiana è stata la prima ad aiutare i giocatori nel passaggio al professionismo, mi ricordo che io ho cominciato già quindici anni fa come commissario tecnico. Poi hanno cominciato anche gli altri paesi, e ora ci imitano gli austriaci ed altri. Oltre al supporto tecnico, sanitario e logistico, visto che abbiamo la foresteria, per i ragazzi è un’ottima cosa anche stare assieme, misurarsi con giocatori di livello, verificare la propri condizione nel paragone con altri giocatori che conoscono benissimo. Del resto, buoni risultati dei ragazzi sono anche i buoni risultati di tutto il golf italiano. Fa bene a tutti”.