Quanti di noi vorrebbero essere in grado di arrivare così in alto, con la sensazione di riuscire a toccare un pezzo di cielo? Impossibile diremmo, fisicamente almeno. Solo nei film o nei sogni è realizzabile una cosa del genere.
Ma c’è invece una pratica non proprio datata che ha la capacità di trasmettere delle sensazioni di onnipotenza e di pensare di poter raggiungere le vette più alte fino a toccare il cielo. Ma poi ci si rende conto che più si va in alto e più si ha la consapevolezza che si sta salendo per raggiungere un obiettivo fatiscente e non reale, perché la vera sfida è quella con te stesso. Sto parlando dell’arrampicata.
La francese Luce Douady, nonostante la tenera età di 16 anni, era già un’atleta di vertice mondiale nel mondo dell’arrampicata sportiva. Due giorni fa la ragazza ha perso la vita tragicamente durante un’allenamento, sulle rocce della falesia di Luisset, nella regione di Isère, scivolando per poi precipitare per circa 150 metri, in un volo che non le ha lasciato scampo.
“Luce, quella giovane donna piena di energia, passione e talento. Una bella persona”.
E’ così che la Chambéry Escalade, associazione in cui si era formata la giovane campionessa francese, scrive sui social con grande tristezza.
Si trovava insieme ad alcuni suoi colleghi quando è successa la tragedia: la ragazza si stava spostando in un settore nuovo della falesia di Luisset, sulla dorsale di Saint Pancrasse, lungo un percorso molto esposto e a tratti dotato di cavi per la protezione. Ma il caso ha voluto che non cadesse mentre si trovava in parete, bensì in un tratto del sentiero che conduceva al luogo dell’ allenamento.
Lo scorso anno Luce, a soli 15 anni, aveva conquistato in Italia, ad Arco di Trento, il titolo mondiale Juniores. Sempre nel 2019, Luce aveva fatto la sua prima comparsa nel circuito di Coppa del Mondo Boulder IFSC, debuttando con un brillante quinto posto a Vail (USA).
“Luce era un’atleta molto promettente e a 16 anni aveva tutto il futuro davanti”, afferma Pierre-Henri Paillason, direttore tecnico della Federazione francese della montagna e delle scalate.
Questo è il pericolo che si incorre quando dedichi la tua vita, quando la tua passione è totalmente assorta in una disciplina “pericolosa”, ma che d’altro campo può portare dei benefici che nemmeno ti immagini. L’arrampicata, per chi la pratica, infatti, non è solo un “tenersi in allenamento, per restare tonici” ma è ben altro: lo scalatore fa anche parte di una comunità con un sentire comune, un certo modo di vestirsi, scelte ecologiche di un certo tipo e anche un certo modo di mangiare.
“Ogni itinerario è una coreografia per me. Una creazione. Io mi vedo come un artista e dipingo con il movimento su tele della natura”, afferma Matt Bush, che non è un rocciatore ordinario: è un solitario senza assicurazione, il che significa che scala pareti rocciose completamente da solo e senza corde o dotazione di sicurezza.
Ma lo sport dell’arrampicata, come tutti gli altri, ha una lunga e controversa storia alle spalle. Figlia di una disciplina più antica, l’alpinismo, da cui si è divisa negli anni ’80, si è saputa distinguere grazie ad un uomo di nome Walter Parry Haskett Smith, ritenuto il padre dell’arrampicata. Il suo successo più iconico arrivò nel 1886, quando scalò il Napes Needle, un pungente sperone roccioso sulla montagna Great Gable nel Lake District. La qualità stravagante del Napes Needle, la sua forma netta l’ha resa una scalata irresistibile e la sua avventura ha aiutato l’arrampicata a farsi conoscere.
Nel corso del tempo, diversi generi di arrampicata si sono evoluti e hanno preso vita. Per un lungo periodo nella prima metà del Ventesimo secolo, l’arrampicata artificiale, ci si aiuta con mezzi artificiali, era molto diffusa. Lo scalatore pianta un picchetto di metallo in una fessura della roccia e vi lega pioli di nylon sui quali lui o lei possano poi salire come su una scala, prima di ripetere il procedimento.
Tuttavia, anche nei primi tempi dell’arrampicata, molti appassionati lo ritenevano un po’ come un compromesso – un modo “innaturale” di ascendere. Un primo alpinista di nome Paul Preuss archiviò tali strumenti, dicendo: “Con gli aiuti artificiali per l’arrampicata avete trasformato le montagne in un giocattolo meccanico”.
Una tecnica differente, nota come arrampicata libera, alla fine divenne molto più popolare. Questa implica l’arrampicarsi usando solo le proprie forze, attraverso il posizionamento esperto delle mani e dei piedi. L’attrezzatura è ancora utilizzata, ma solo come misura di sicurezza, con un’imbracatura che assicuri la salvezza agli scalatori.
Per Olimpia Ariani, atleta 19enne della nazionale italiana, l’unicità dell’arrampicata sta anche in un’altra preziosa caratteristica: “C’è una dimensione collettiva, perché non vai mai a scalare da solo, e poi c’è n’è una una individuale. Sei tu poi, da solo, contro la roccia”. Inoltre, spiega,dà dipendenza: “Dopo la prima volta si vuole riprovare subito, magari già il giorno successivo. Vuoi riuscire in quello che non avevi saputo fare il giorno prima. A me ha aiutato molto nella vita l’arrampicata – dice Olimpia – dal punto di vista emotivo. Si va sempre avanti, si superano gli ostacoli”.
Uno sport che come non mai è divenuta una moda, un trend, uno stile di vita, da cui prendono ispirazione anche film e documentari: lo scorso anno il film “Free Solo” in cui il free climber americano Alex Honnold scalava senza alcuna protezione El Capitan, nello Yosemite, in California, ha vinto l’Oscar come miglior documentario. Le riprese, spettacolari, mostrano Honnold scalare senza sicurezza e arrivare in cima con una lucidità estrema, che gli permette di riuscire in un’impresa tanto straordinaria quanto rischiosa.
Uno sport quello dell’arrampicata che ha avuto molte evoluzioni, fino a quella più concreta: sarebbe sbarcata anche alle prossime Olimpiadi di Tokio 2020 con le sue tre specialità: speed, che consiste nel completare una via nel minor tempo possibile,lead, a scalata su ‘vie’ con grado di difficoltà progressivo, e il bouldering, da boulder, masso, arrampicata senza protezioni su blocchi con un’altezza massima limitata (7-8 metri). Avremmo potuto osservare, tifare e appassionarci ad una nuova disciplina che per tanti di noi è ancora del tutto sconosciuta.
Aspetteremo l’anno prossimo, ricordando in quella magica occasione dei Giochi Olimpici anche quella “Luce” che dello sport ha fatto la sua vita.
Foto: Radio 105