Il rilancio del Milan, dopo mesi di paziente gestazione, ha molti nomi. Pioli, sicuramente. Kjaer. Kessie, Rebic. Ma non è tutto. Il Milan ha finalmente un regista: non è il caso di azzardare paragoni improponibili con Pirlo, né con altri interpreti del ruolo più difficile del calcio, ma Ismael Bennacer, 23 anni a dicembre, algerino nato ad Arles, la città in cui si manifestò il genio di Van Gogh, nel Midi francese, sembra davvero la soluzione di uno dei problemi storici dei rossoneri, passati in pochi anni da Pirlo a Van Bommel, da De Jong a Biglia, in un precipizio senza fine. La stagione di Bennacer non era cominciata bene. Tra errori suoi – disastrosa fu la sua partita contro la Fiorentina (1-3) a San Siro – e pregiudizi altrui, ha impiegato molte settimane per risalire la corrente. Chi lo conosceva aveva pochi dubbi: un anno fa è stato tra i protagonisti del trionfo dell’Algeria nella coppa d’Africa, eletto miglior giocatore della competizione. Nell’Empoli, aveva già mostrato un talento indiscutibile. Prima ancora aveva frequentato le giovanili dell’Arsenal, quando il club sotto la guida di un grande maestro di calcio come Arsene Wenger pescava in Francia le promesse più interessanti, quelle che gli specialisti del mercato chiamano prospetti. Dopo la sospensione dei campionati, Bennacer è riapparso per quel che è. Un campione potenziale, tant’è vero che il Paris Saint-Germain si è subito presentato al Milan con un’offerta notevole. Tutto si può dire di Leonardo, il manager dei parigini, ma non che non riconosca il valore dei giocatori. Di taglia minuta – un metro e settantacinque centimetri di statura – Bennacer è dotato di velocità, tecnica eccelsa e grande visione del gioco. In che cosa è cambiato rispetto agli esordi da milanista? Lo chiedo a Eraldo Pecci, uno dei registi classici del calcio italiano, l’erede di Giacomo Bulgarelli, vissuto e affermatosi nell’epoca dei grandi del ruolo come De Sisti, Capello, Juliano: “In effetti, Bennacer migliora ad ogni partita. All’inizio, perdeva troppi palloni in uscita, e in quella posizione ogni errore può diventare letale. Tendeva a strafare, cercava la giocata anche quando non era necessaria, mi sembrava che avesse fretta di mostrare la propria forza. E così, inseguendo il colpo spettacolare, finiva per complicarsi la vita. Ora sbaglia meno perché gioca in maniera più semplice, ha capito che non serve mostrare le qualità che ha ogni volta che tocca il pallone, questo vuol dire che ha sta raggiungendo la maturità. La grande giocata arriva da sola, cercarla sarebbe una forzatura che soprattutto in questo ruolo è una prova d’insicurezza. Dico anche che, quando il regista lavora bene, i benefici si vedono. Kessie, che non era così male anche prima, ora viaggia come un treno, sa che alle spalle c’è un compagno che non perde la bussola”. E qui Pecci mi regala un po’ della sua storia personale: “Ai tempi del Torino, quando vincemmo lo scudetto contro ogni previsione estiva, Radice mi definiva l’uomo d’equilibrio, ero molto giovane, e come tutti i giovani tendevo a toccare un po’ troppo la palla, invece di tenerla solo un attimo tra piedi. Imparai subito a sveltire il gioco. Di Bennacer ammiro la capacità di stare in mezzo al campo, che è molto difficile, perché ci si può sentire sperduti, senza riferimenti, lontani dalle linee laterali, come in mare aperto. Per orientarsi, occorrono qualità naturali. Lui le possiede. Registi si nasce e poi si migliora. Ma se manca la sensibilità, la capacità di vedere prima degli altri gli sviluppi del gioco, è inutile insistere. Rispetto ai miei tempi, quando il regista tradizionale – per me, il migliore era De Sisti, difatti in Nazionale giocava sempre, il ct Valcareggi rinunciava a Rivera oppure a Mazzola, mai a lui – non veniva sottoposto al pressing avversario, molto è cambiato, le squadre sono più corte, gli spazi meno ampi, dunque ora al regista si chiedono anche altri compiti, deve pressare, muoversi molto, senza perdere il senso del gioco. Una volta, questo era il ruolo del rifinitore, che a sua volta poteva permettersi molte pause. Ora il regista e il rifinitore spesso coincidono, si alternano, a meno che non si tratti del Barcellona di Guardiola, che utilizzava un regista arretrato – il regista basso, secondo il lessico di moda – come Busquets e un regista avanzato – il regista alto – della classe di Xavi. Quest’ultimo riceveva la palla e riusciva a smistarla sempre di prima per uno dei tre attaccanti. Se non poteva raggiungerli, cercava di nuovo Busquets, e da lì ricominciava l’azione. Ma il Barcellona era una squadra così speciale, con una padronanza tecnica così straordinaria, da potersi permettere un terzo centrocampista che era un fantasista puro come Iniesta, alle spalle del trio composto da Messi, David Villa e Pedro. In Italia, Pirlo ha rivoluzionato il ruolo, trasformandosi da mezza punta in play maker, senza rinunciare ogni tanto ai tocchi ad effetto. Un fuoriclasse, determinante in Nazionale e nel Milan”. La conclusione di Pecci è persino elementare: “Vale per Bennacer e per tutti i centrocampisti centrali. Mai dimenticare di avere tra le mani le chiavi del gioco. Mai perdere le chiavi. Con l’esperienza, giocando anche nelle coppe europee, Bennacer non potrà che progredire. Imparerà anche ad evitare qualche cartellino giallo di troppo. Fino a diventare un grande regista”.
*Foto tratta da tuttomercatoweb.com