In un articolo di giovedì scorso, il Guardian riportava che la tv di stato cinese sembrava declassare la Premier League inglese. Il quotidiano britannico spiegava che le partite del campionato di Sua Maestà avrebbero potuto essere trasmesse in canali di minor seguito, dal momento che le partite della Premier sono di solito trasmesse dal canale sportivo di CCTV, la tv di stato cinese, mentre Liverpool-Chelsea di mercoledì scorso, che ha preceduto i festeggiamenti per il titolo dei Reds, è stato trasmesso da CCTV 5+, “una rete molto meno seguita”. Questo passaggio del pezzo è, se non inesatto, quantomeno esagerato. In Cina, l’emittente di stato è appunto CCTV, China Central Television. Si tratta di un network enorme, composto da una miriade di canali monotematici, di cui il primo canale è quello d’informazione, controllato dal Partito Comunista del governo di Xi Jinping. I canali dedicati allo sport sono CCTV 5, CCTV 5+ e un terzo canale dell’emittente di stato. In particolare, il canale CCTV 5+ è la versione HD di CCTV 5. È vero dunque che Liverpool-Chelsea ha raggiunto una fascia più ristretta della popolazione cinese (quella che può permettersi la tv ad alta definizione), ma è sbagliato sostenere che la Premier sia relegata a reti minori.
Nonostante questo, il seguito del pezzo del Guardian offre un interessante spunto di riflessione. Viene offerta ai lettori l’analisi di Simon Chadwick, professore di sport euroasiatici dell’EM Lyon Business School (una prestigosa università francese di economia e gestione), il primo a riportare la questione sui social con fonti legate a CCTV: “Non è esattamente chiaro che cosa, ma qualcosa sta certamente accadendo. La tensione tra Gran Bretagna e China è cresciuta in modo drammatico e le vicende sportivo televisive sembrano collocarsi proprio in questo contesto”. I riferimenti del prof. Chadwick sono evidenti a chi segue la cronaca politica internazionale. Il Regno Unito sta offrendo la cittadinanza a molti abitanti di Hong Kong che vogliono liberarsi del controllo sempre più ingombrante della Cina, ha vietato l’uso del 5G Huawei e sta affiancando sempre di più il governo di Trump negli attacchi al Dragone, che comprendono la presunta repressione verso gli Uiguri, etnia da tempo indipendentista, e altre minoranze musulmane.
L’anno scorso, l’emittente di stato cinese oscurò effettivamente l’NBA per alcuni mesi dopo che questa espresse ufficialmente solidarietà via Twitter ai manifestanti di Hong Kong. In Dicembre toccò al calcio. Dopo che Mezut Ozil, il centrocampista della nazionale tedesca di origine turca e musulmano praticante condannò sempre con un tweet la politica repressiva sugli Uiguri, Arsenal – Manchester City non venne trasmessa. “I casi dell’NBA e di Ozil dimostrano che la TV cinese non è nuova a queste pratiche, che in quei casi arrivarono dopo due singoli tweet. Ora invece abbiamo il Primo Ministro Boris Johnson che si lancia in attacchi pubblici contro il governo cinese. Altro che qualche tweet, la situazione è esplosiva!”
Tornando alla Premier, se togliamo anche solo la fetta di popolazione che non ha accesso a CCTV 5+, ossia all’HD, e la mancata trasmissione del match dell’Arsenal a seguito delle frasi di Ozil, stiamo parlando di un’emittente che per motivi politici opera una scelta che dal punto di vista strettamente economico sarebbe inspiegabile. Nel 2016, infatti, l’accordo tra tv cinese e Premier League, programmato a partire proprio da questa stagione, prevedeva l’acquisto dei diritti tv per tre annate al modico prezzo di 564 milioni di sterline (all’epoca circa 620 milioni di euro). Il contratto TV allora più ricco siglato dal campionato inglese con un’emittente estera. E’ evidente che gli interessi in gioco vanno al di là della sola sfera finanziaria.
Anche nel 2020, lo sport viene pertanto usato dalla politica internazionale, ma con scopi molto diversi dal passato. Fino alla Seconda Guerra Mondiale, era un’arma di propaganda dei totalitarismi. Emblematico l’esempio del nostro Primo Carnera, peso massimo osannato dal regime fascista quando divenne campione del mondo a New York e poi subito dimenticato alla prima sconfitta. Ai tempi della guerra fredda, lo sport costituiva un ulteriore campo per affermare la supremazia di un blocco su un altro, non meno importante della corsa allo spazio (basti pensare alle nuotatrici iperdopate della DDR), anche sul piano diplomatico con il boicottaggio occidentale a Mosca ’80, subito restituito da URSS e paesi satellite a Los Angeles ’84.
Oggi, nel mondo dell’economia e della comunicazione globale, lo sport nelle mani della politica assume forme e scopi molto più differenziati. Non è più un mezzo per affermare una forma di grandezza o superiorità, ma rientra a pieno titolo nella guerra commerciale tra superpotenze. Serve ai cinesi per togliere valore a un brand come la Premier League, come rappresaglia per posizioni ideologiche assunte (NBA e Ozil) o in risposta ad azioni politico-economiche (il governo UK che bandisce il 5G di Huawei).
Cambiano i tempi, cambiano modalità e scopi, ma non cambia l’utilizzo distorto dello sport. Gli antichi che fermavano persino le guerre per disputare le Olimpiadi ci appaiono sempre di più come lontani giganti.
*foto ripresa da https://mothership.sg