“È molto giovane e questa è soltanto la sua quarta stagione nel Mondiale, la seconda nella classe regina: ci impegneremo tutti per sfruttare al massimo il suo potenziale, perché ha margini di miglioramento molto ampi”. Davide Brivio, team manager della scuderia Suzuki Ecstar, si riferisce a Joan Mir, che in questo campionato stravolto dal coronavirus ha conquistato il suo primo podio nella MotoGP (secondo nella prima delle due tappe austriache). Campione del mondo della Moto3 nel 2017, il rider maiorchino, 23 anni appena compiuti, risponde: “Il feeling con la GSX-RR migliora e l’esperienza che ho accumulato mi aiuta a crescere. Come pilota, ma anche come persona”.
La stagione è quasi al giro di boa: qual è il tuo obiettivo finale?
“A causa dell’infortunio, con due cadute in tre gare, è cambiato rispetto a marzo. Punto a stare sempre davanti nelle prove libere e finire tutte le gare”.
Come vivi il weekend in circuito?
“Finite le qualifiche, sabato mi metto tranquillo. Al contrario di domenica mattina: la griglia di partenza si avvicina e sale la tensione. Poi mi tranquillizzo un po’. Se il warm-up è andato bene”.
Se è andato male?
“Mi agito di più!”.
Allora prima del Gran Premio farai qualcosa per distendere i nervi.
“Niente di particolare, a parte seguire un rituale preciso nella preparazione. Non per scaramanzia, ma per concentrarmi: infilo tuta, stivali e guanti a cominciare dal lato destro. In questo modo entro in modalità ‘on’ e sono pronto”.
Vuoi dire che non sei superstizioso, a differenza dei tuoi colleghi?
“Nella vita no, non faccio caso a gatti neri o specchi rotti. Nel paddock, sì: il mio portafortuna è un paio di slip che metto a ogni gara”.
Ricordi la tua prima volta in sella?
“No, ero troppo piccolo. Considero la mia prima volta quando mi sono presentato alla scuola del papà di Jorge (Lorenzo, ndr): tutto mi sembrava bellissimo e indossare la tuta era stata un’emozione fortissima, mi sentivo già un pilota professionista: volevo seguire le orme di mio cugino”.
Di chi parli?
“Di Joan Perelló. Mi sono appassionato alle moto guardando lui: ha partecipato al Mondiale, classe 125, nel 2009. Ho chiesto io a papà di provare a guidare”.
Ti ha risposto subito “sì”?
“Sì, anche se avrebbe preferito che mi dedicassi ad altre discipline, ha un’azienda che produce tavole da skate e surf: avrebbe voluto che diventassi simbolo del marchio”.
Hai mai pensato a un piano b?
“No, ma so che farei tutt’altro: lavorerei nella sua azienda o nell’impresa di costruzioni di famiglia, da parte di mamma”.
Sei molto legato ai genitori?
“Tanto. Forse l’unico aspetto negativo del mio mestiere è la lontananza dalle persone care. A dimostrazione del legame forte, io e mamma abbiamo lo stesso tatuaggio: il mantra ‘Ajai Alai’, che dà forza e sicurezza”.
Cos’altro ti manca quando giri per circuiti?
“Il mare. Sono originario di Maiorca e quando abitavo lì, ora vivo ad Andorra, dopo l’allenamento mi fiondavo in acqua: ho provato di tutto, jet-ski incluso”.
A proposito di Maiorca: oltre a te, sull’isola sono nati Jorge Lorenzo e Rafael Nadal.
“Più altri talenti dello sport, come Hugo González. Jorge l’ho conosciuto in circuito: quando si allenava a Maiorca io ero troppo piccolo e poi si è trasferito a Barcellona. Rafa, invece, abita ancora sulla nostra isola e l’ho incontrato varie volte. Sono anche andato nella sua accademia e l’ho visto giocare”.
Nel 2020 Suzuki festeggia 60 anni in pista: chi tra le sue leggende vorresti sfidare?
“Kevin Schwantz, su una 500. Non l’ho mai guidata e mi piacerebbe provarla: con lui a fianco sarebbe fantastico”.
*Credito Foto: Team Suzuki Ecstar