Dopo i Fab Four, ecco le Fab Four: dopo i terribili quattro che hanno monopolizzato i grandi tornei, Federer, Nadal, Djokovic e Murray, è il momento delle quattro mamme terribili degli Us Open, Serena Williams, Vika Azarenka (semifinalisti in singolare), Tsvetana Pironkova stoppata ai quarti) e Vera Zvonareva (finalista in doppio). Il loro ritorno al futuro coincide con quello dello Slam di New York: Serenona e la bielorussa, clonata su Maria Sharapova, sono state protagoniste di portentosi bracci di ferro proprio sul cemento di Flushing Meadows nel 2011-2012-2013 (con due finali consecutive perse dalla ragazza venuta dall’Est Europa) e lo rinnoveranno in semifinale in quest’indimenticabile edizione, la Pironkova era arrivata più in alto in carriera con le semifinali di Wimbledon 2010, e la Zvonareva era stata finalista agli Us Open nel 2010 contro l’allora mamma di rientro, la prodigiosa Kim Clijsters.
“L’età è soltanto un numero, gli anni che hai sono quelli che ti senti, scienza, tecnologia e lavoro hanno cambiato le cose: sei quello che ti senti mentalmente e come il tuo corpo riesce a fare e quanto sei in grado di tenere il passo”, ripete come un disco rotto la prodigiosa Williams che il 26 settembre compie 39 anni e sventola questa bandiera da tempo. Con la stessa rabbia e determinazione con la quale si tira fuori dai guai, riemergendo dal primo set perso nei quarti contro Pironkova. “Quando diventi mamma, superi così tanto solo per diventarlo e per fare quello che fai ogni giorno, che solo per questo sei più forte. Giochi, vai a casa, e devi ancora cambiare pannolini. Una mamma deve sempre avere un po’ di energia e di passione in più”.
A essere pessimisti, a guardare il bicchiere mezzo vuoto, Serena non vince un Major dagli Australian Open 2017, quand’era incinta della sua Olympia. Poi, dopo una quasi miracolosa ripresa dai problemi post-parto, s’è arresa in addirittura quattro finali Slam, cioè negli ultimi due Wimbledon e Us Open consecutivi. Lei che prima ne aveva perse appena 6.
Anche lei, come Novak Djokovic, per motivi diversi dal campione serbo, perché sta combattendo soprattutto contro se stessa, il suo fisico, inclusa l’insufficienza polmonare che si porta dietro, e il pensiero che la corrode mentre il tempo passa, comunque, inesorabile insieme al suo sogno di immoralità sportiva.
E cioè, a quota 23 Slam, allo storico Major numero 24 che la appaierebbe all’incredibile quanto improprio record di Margaret Smith Court. Perché nel computo della fantastica australiana ci sono ben 11 titoli agli Australian Open, molti dei quali quando nel torneo era la “Gamba Zoppa dello Slam” ed era disertata dai più forti.
L’ultima Serena ha una determinazione in più: contro Pironkova è stata in evidente difficoltà per un set e qualcosa. “Sentivo le gambe un po’ pesanti, ero come affaticata, non mi buttavo giù, ma sentivo che dovevo trovare il modo per giocare più veloce”.
Soffriva soprattutto sul lato sinistro, col rovescio e così, a metà del secondo set, mentre sbuffava e soffriva ad ogni spostamento, quando sembrava di essere lì lì per crollare e non rialzarsi più, ha dato invece un colpo di barra, forse psicologicamente decisivo, sicuramente feroce, dei suoi, quand’ha risposto a una servizio della bulgara colpendo a una sola mano, con la sinistra, stupendo per prima l’avversaria. “A quel punto stavo lottando così duramente, qualche volta in allentamento colpisco anche di sinistro, ma non apposta e avevo notato giorni fa che avevo fatto un dritto di sinistro davvero super intenso e mi è tornato fuori anche in partita. Del resto in un quarto dello Slam cerchi di fare tutto quello che puoi, sia con la destra che con la sinistra”.
Poi, nel terzo set, ha concesso anche il bis, su uno degli scambi più appassionanti del match, ribadendo di essere sempre la vecchia leonessa e ancora la vera regina del torneo dove, dal 2011, è arrivata almeno in semifinale nove volte su nove (nel 2017 ha disertato). “Sento di essere ok, sono pronta a giocare tre set anche a ogni partita se proprio devo. Non importa, una vittoria è una vittoria”, ha commentato la terza affermazione di fila al terzo set.
Non ha l’ambizione di essere perfetta come quando cominciò la sua avventura nel tennis professionistico nel 1995, e già nel 1999 firmava il primo dei suoi sei trionfi a New York in dieci finali. Di più anche di più. Perché disperata, una volta riguadagnato quel decisivo metro di campo che aveva concesso nel primo set, s’è aggrappata alla sua arma paralizzante, il servizio, ricavandone 20 ace, più di quanto fosse più riuscita da otto anni in qua (dai 24 contro Azarenka nelle semifinali di Wimbledon 2012), per auto-promuoversi alla semifinale numero 14 agli Us Open. Dalla ripresa dopo il lockdown, in dieci partite, Serena vanta otto vittorie e due sconfitte, otto volte è stata costretta al terzo set, sette volte ha dovuto giocare più di due ore. Collezionando un altro record da tenere a mente: 44 partite vinte dopo aver perso il primo set.
*articolo e foto ripresi da www.supertennis.tv