Tra i mille fortunati c’era anche Giulia, giovanissima tennista con gli occhietti vispi che brillavano sopra l’ingombrante mascherina. «Beh, certo: visto così è inquietante», ha risposto di getto quando le abbiamo chiesto cosa ne pensasse di quel panorama finalmente vivo, eppure desolante, offerto dal Foro Italico. Poi però ci ha ripensato: «Tutto sommato ha anche il suo fascino». Dieci giorni di Internazionali di tennis, una bella (sportivamente parlando) edizione del Golden Gala di atletica e quelle parole è come se rotolassero ancora tra gli adesivi color arancio a terra per regolare la coda dei mille riusciti a entrare “al tennis” per semifinali e finali, i termoscanner, gli snelli controlli di sicurezza e più giù lo stadio Olimpico, dove padrona è stata soltanto l’eco. Dalle notti magiche alle notti e basta. Perché, intendiamoci, è difficile dare ragione a Giulia. Il fascino, semmai, ha un’altra matrice. Ben altra faccia. Il fascino dell’assenza si è fatto essenza. Vuoto e vuoti da colmare.
RESPIRO – Il pubblico del tennis è colore, calore, testimone già di per sé silenzioso di vite, imprese, drammi, gioie e dolori equamente ripartiti. Tra un «Quiet, please» e l’altro è poi grida, applausi, «Oooh» di stupore o di disappunto. Il tennis a porte chiuse, ce ne siamo accorti anche a Roma, è uno spettacolo a cui è stato tolto quel corpo unico che anche a volume zero respira e aumenta l’intensità della tensione che va in scena. Matteo Berrettini ha sintetizzato così la cosa: «Il muro di tifosi accalcati l’uno sull’altro sul Pietrangeli è insostituibile, ma ti mette anche una bella pressione addosso». E non solo. Citando per esempio le parole di Giampiero Galeazzi nel servizio tv che confezionò per la finale Panatta-Borg del ’78: «Panatta è stato ammesso a disputare questa finale per il ritiro dello spagnolo Higueras, indispettito prima e innervosito poi, da un pubblico di tipica estrazione calcistica». Per non parlare poi del famigerato lancio di monetine di quella finale. Ma siamo già oltre.
Il Foro Italico è il Foro Italico, «ma la gente è cambiata. Meno caos sugli spalti», ripete spesso Nicola Pietrangeli. Eppure i volti incrociati sugli spalti in occasione delle semifinali e delle finali dell’edizione 2020, con la Federtennis capofila nell’aprire a quei mille spettatori grazie all’intervento del ministro dello Sport Spadafora, erano inediti. Altro che i 12 milioni di euro d’incasso e il sold out. Il calore, però, quello non è cambiato: l’immagine dei tifosi presenti sugli spalti per la premiazione conclusiva, quelli ad applaudire imperterriti Novak Djokovic nonostante la prima pioggerella autunnale, è infatti da stampare e mettere sul cuore.
IL RECORD OVATTATO – Dicevamo del fascino. Ne è testimone lo sport stesso. Che cambia forma causa Covid per ritrovarsi, riscoprirsi, in attesa di potersi offrire come prima.
Giovedì 17 settembre scorso, il giorno del Golden Gala “Pietro Mennea” e di Armand “Mondo” Duplantis e Yemaneberhan Crippa, per tutti Yeman. Mondo ha vent’anni, natali in Louisiana e passaporto svedese, è un giovanotto esploso tipo popcorn che aveva già riscritto la storia del salto con l’asta fino ad arrivare a un 6,18 indoor nel febbraio scorso; Yeman, 23 anni, nato in Etiopia e adottato assieme a cinque fratelli e due cugini dalla famiglia Crippa, aveva già superato i primati italiani nei 5000 e 10000 vecchi di trent’anni, firmati da Totò Antibo. Lo svedese ha ritoccato a 6,15 il record all’aperto di Sergey Bubka; l’italiano ha impiegato 7’38″27 per battere anche il record italiano di Gennaro Di Napoli nei 3000. L’urlo degli speaker all’Olimpico, l’applauso dei giornalisti. Basta. Titoloni e fiumi d’interviste all’indomani, ma niente più. «Magari col tifo sarei riuscito a fare anche meglio. Del resto, all’ultima curva mi sentivo praticamente spacciato», è stata la chiosa del pur felice Yeman.
L’atletica, che aveva presentato un piano per avere almeno 5000 persone ugualmente distribuite tra tutti i settori dell’Olimpico, ha invece dovuto tenere ben serrate le porte. Ad allargare le braccia sconsolato anche il presidente di World Athletics Sebastian Coe. Lo sport è andato avanti. Zavorrato, ma è andato avanti. In notti dieci volte più buie.
MISTER E MISS – Due settimane vissute dalle parti del Foro Italico. Se potessimo tornare indietro, oltre a coppe e medaglie assegneremmo anche due premi virtuali. Il primo a Novak Djokovic, che alla fine delle sue partite ha comunque salutato chi ha potuto guardarlo. «A Roma mi sono sempre trovato bene. Spalti vuoti, certo. Ma io parlo anche dei volontari e di tutta la squadra che ha lavorato dietro le quinte degli Internazionali. Il sostegno che trovo qui è incredibile». L’altro premio lo daremmo a Nicola McDermott, bella ragazza australiana che si cimenta nel salto in alto. Al Golden Gala ha accompagnato ogni singolo tentativo al cospetto dell’asticella chiedendo invano applausi per farsi ritmare la rincorsa. E sorridendo, sorridendo sempre. Un’immagine di ottimismo, o “resilienza” com’è di tendenza oggi. Cosa resta delle ultime due settimane? Tutto, tanto. Silenzi frastornanti, pause e note che apprezzeremo meglio quando la realtà la smetterà di somigliare a un film di Serie B. E magari sapremo che Giulia aveva visto lungo.