Il conflitto interno alle nostre istituzioni, col ministro della Salute Roberto Speranza opposto al ministro della Nazionale, noto anche come commissario tecnico, Roberto Mancini, sembra propendere nell’opinione pubblica per il primo, in nome prima di tutto del buon senso, ma un Mancini così duro e senza peli sulla lingua continua tuttora a combattere, incurante della posizione impopolare.
Ricapitoliamo in breve. Otto giorni fa, la domenica di Juve – Napoli, quando era già chiaro che non si sarebbe giocata, il Ministro della Salute a “Mezz’ora in più” aveva risposto a una domanda in merito di Lucia Annunziata, esternando il suo rammarico perché in Italia ci si preoccupa più di calcio che di scuola. “Lo dico con rispetto di una fetta importante dell’economia italiana come l’industria del calcio” ha tenuto a precisare il ministro ex PD. A sua volta interpellato su queste parole, il dandy Mancini aveva sorprendentemente lasciato il posto a quello duro e senza peli sulla lingua, che ha tuonato: “Si dovrebbe pensare prima di parlare. In Italia milioni di persone praticano sport. Il diritto allo sport è importante come quello all’istruzione e quello al lavoro“. La prima considerazione, subito sottolineata dai giornali, è stata sui contorni del contendere: Mancini evidentemente si riferiva al calcio dilettantistico, Speranza parlava di quello che muove il business, quello dei professionisti. A parziale sostegno dell’ex tecnico interista, la Gazzetta dello Sport con l’autorevole penna di Luigi Garlando, che ha letto l’atteggiamento di Mancini come “probabile insofferenza per un atteggiamento pregiudiziale, riduttivo dello sport e del calcio in particolare, venuto a galla più volte, fin all’inizio della pandemia […] ’Prendiamoci rischi per la scuola, non per lo sport‘, come fosse banalmente il reparto giocattoli della vita, suona effettivamente semplicistico“.
Per il resto, il ct azzurro avanza senza alleati. Non poteva certo esserlo il Governatore della Campania Vincenzo De Luca, che nelle ormai consuete dirette FB mentre ha attaccato la Juve (che secondo lui è meschina, perché vuole vincere a tavolino quando il Napoli è ostacolato da una disposizione della Asl campana e pure ingrata, perché non ha nemmeno detto grazie per non aver contagiato Cristiano Ronaldo), ha evidentemente sentito il bisogno di toccare tutti i punti di attualità calcistica, ammonendo Mancini perché è bene che “ognuno si preoccupi del proprio lavoro, non di quello altrui”.
La vicenda si è arricchita di un nuovo paragrafo, due giorni fa, con la fugace entrata in scena del presidente federale Gabriele Gravina. Mancini si era infatti espresso anche a favore di una percentuale di pubblico negli stadi, circostanza che ha visto l’espressa contrarietà di Gravina. A quel punto, l’ex stella di Samp e Lazio ha in qualche modo risposto anche a De Luca, forse inconsapevolmente: “Finché siamo in democrazia, e speriamo che di restarci a lungo, io posso dire la mia e gli altri essere d’accordo o meno. Non è un problema se io e il presidente Gravina la pensiamo diversamente”. Il povero ct, con quel “Siamo in democrazia e speriamo di restarci a lungo”, vista la situazione in corso e le posizioni assunte, rischia pure di essere additato come negazionista del Covid…
Il tema vero verte però sul mondo del professionismo e le regole anticovid che sottostanno alle varie realtà dell’intrattenimento. Si può tranquillamente non condividere, ma non è così irragionevole pensare al calcio come un’attività in cui i professionisti del settore vanno incontro al rischio di contagio nello svolgimento del loro lavoro. Succede così in tutti gli altri sport di squadra, nel basket, nella pallavolo, nel rugby – sport di contatto per eccellenza. All’estero non sembra che siano degli scienziati rispetto a noi, se Karl-Heinz Rumenigge ha lanciato un appello per riaprire gli stadi o almeno per evitare la sospensione della Bundesliga: “Con gli stadi chiusi, la cultura calcistica sta andando in malora e con essa lo svezzamento dei tifosi. Ancora più grave è l’aspetto economico: in tutta Europa, ogni club perde tra i 50 e i 200 milioni di euro in una stagione che deve giocare senza spettatori. Un altro blocco o addirittura la fine della stagione sarebbero devastanti, diversi club della Bundesliga non sopravviverebbero”. La stessa situazione è riscontrabile, naturalmente, in Italia e soprattutto negli altri sport, dove il pubblico pagante contribuisce a una fetta molto più grande che nel calcio, che da noi si appoggia molto più che altrove sui diritti tv. Se si fermassero dopo pochi mesi dal via la serie A1 di basket o il Top10 di rugby, si conterebbero sulle dita di una mano i club ancora in piedi.
È altrettanto vero però che non si fanno mai o quasi le stesse considerazioni per altri settori dell’intrattenimento o dello spettacolo, come i concerti musicali e il teatro, con tutto l’indotto come i tecnici che permettono lo svolgimento delle rappresentazioni. Per un’Elisa che sta portando avanti il suo Tour 2020, ci sono moltissimi professionisti a casa da Marzo. Molti di loro hanno manifestato sabato davanti al Duomo di Milano, per chiedere un aiuto per non scomparire, inghiottiti dalla crisi economica che il virus ci sta portando insieme alla carneficina della scorsa primavera e al perdurare di questo incubo non solo sanitario. Difficile trovare una soluzione, ma di certo un attore teatrale o un tecnico fonico non hanno lo stesso trattamento di un calciatore professionista. Il motivo è pacifico e tristissimo. Tanto più sono i soldi che si muovono attorno a un evento, tanto più questo ha probabilità di tenersi anche con 10.000 contagi al giorno. Chi muove un volume di denaro limitato, subisce in pieno il contagio indiretto della crisi economica. Un epilogo tragico a una commedia leggera che vedeva un insolito Mancini e un consuetissimo De Luca.
*foto ripresa da www.qdmnotizie.it