Nello sport esiste la parità dei sessi?
Quando smetteremo di parlare di sport femminile e inizieremo a riconoscere le
donne al pari degli uomini anche nello sport, allora si potrà cambiare il tono della
domanda.
Lo sport è per tutti ed è di tutti: maschi e femmine, ma è solo un miraggio in Italia!
Nel mondo dello sport italiano ci sono discipline considerate appannaggio esclusivo
degli uomini o delle donne: un “Report” Istat del 2017 rileva che sport come
ginnastica, aerobica, fitness, sport acquatici, danza, pallavolo, siano più diffusi tra le
donne e ……. calcio, calcetto, sport invernali, sport ciclistici sono scelti invece da
pochissime atlete. In questo Report il 38,5 % degli uomini pratica il calcio contro
l’1,2 % delle donne, il 16,8 % delle donne pratica danza contro il 2 % degli uomini, il
4% degli uomini pratica il volley rispetto all’85% delle donne e così di seguito.
Un lavoro del Centro Studi di C.O.N.I. Servizi del 2017, relativo alle caratteristiche
demografiche degli atleti e degli Operatori delle Federazioni Sportive Nazionali e
delle Discipline Sportive Associate, evidenzia elementi di fortissima differenziazione
di genere:
– le atlete donne erano il 28,2 % contro il 71,8 degli atleti maschi (su 4,7 milioni
di tesserati complessivi);
– tra gli Operatori Sportivi (Istruttori, Allenatori, Dirigenti), 4 su 5 erano di sesso
maschile (80,2 % Allenatori, Istruttori, Direttori Sportivi, 81,8 % Ufficiali di
Gara e Arbitri, 87,6 % Dirigenti Federali e 84,6 % Dirigenti Societari).
Questi sono i dati ufficiali del 2017, ma …….. nel 2020 i risultati sono diversi, è
aumentata la percentuale delle atlete donne nel calcio, nello sci, nel rugby, ecc.,
sono aumentate le donne “coach”, le donne “Dirigenti”, insomma è cresciuto il
numero delle donne al timone del comando!
Ma non esiste ancora parità!
La storia dello sport della donna, infatti, non è stata ancora scritta in Italia in
maniera compiuta. Un po’ perché la storia dello sport, in generale, si è sempre
occupata di questo fenomeno dal punto di vista maschile, ma anche perché la storia
dello sport femminile è stata finora circoscritta, avendo considerato le vicende di
qualche atleta illustre, o di qualche disciplina, o di qualche episodio eclatante, senza
una visione d’insieme.
È anche mancato il materiale su cui indagare, perché la donna, solo di recente, ha
avuto una propria storia, relegata però in quella del costume.
Infine non bisogna dimenticare il contesto in cui ha vissuto per secoli la donna nel
nostro Paese, soggetta a pregiudizi di tipo culturale di difficile superamento,
condizionata, come negli altri Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, dalle sue
prerogative di madre e sposa, prerogative che la hanno relegata ad un ruolo
secondario della vita civile.
Però all’estero la situazione è migliore, sia perché sono più avanzati gli studi di storia
dello sport in generale, sia perché questo fenomeno è entrato nella cultura comune
e nel modo di vita quotidiano.
Ora però anche in Italia qualcosa sta cambiando, la dimostrazione è che la
bi-campionessa olimpica di ciclismo Antonella Bellutti si presenterà come sfidante di
Giovanni Malagò alle prossime elezioni per la presidenza del C.O.N.I.
Chi lo avrebbe mai detto??!!
Nel lavoro
Nel lavoro esiste la parità dei sessi?
Quando smetteremo di parlare di lavoro “al femminile” e inizieremo a riconoscere le
donne al pari degli uomini anche nel lavoro, allora si potrà cambiare il tono della
domanda.
Il lavoro è per tutti ed è di tutti: maschi e femmine, ma è solo un miraggio in Italia!
Le donne hanno il 25% in meno di diritti sul lavoro rispetto agli uomini, così afferma
il nuovo rapporto “Women, business and the law 2019”, pubblicato dalla Banca
Mondiale, nel quale si prendono in considerazione le decisioni economiche e
legislative che i Paesi hanno intrapreso negli ultimi 10 anni per migliorare la
situazione delle donne nel contesto lavorativo.
La media mondiale è intorno ai 74 punti: in pratica le donne ricevono un quarto in
meno di diritti sul lavoro rispetto agli uomini.
Nel 2018 ci sono sei Paesi che hanno raggiunto il punteggio di 100 nel rapporto della
Banca Mondiale: Belgio, Danimarca, Francia, Lettonia, Lussemburgo e Svezia.
Nel 2020 il numero dei Paesi che ha raggiunto il punteggio di 100 è aumentato
specialmente nel nord Europa e nel nord America.
Dando uno sguardo in generale alla situazione, si può notare un progresso dal punto
di vista del “gender equality” ma esistono diversi Paesi, soprattutto in Africa e
Medio Oriente, che non raggiungono nemmeno la metà del punteggio massimo.
Secondo il rapporto, le donne iniziano la propria carriera lavorativa più tardi degli
uomini e a 25 anni e la scelta del lavoro per loro è condizionata da tre fattori
principali:
– la sicurezza economica;
– la possibilità di crescita;
– l’equilibrio tra il lavoro e la vita privata.
Le politiche economiche di ogni Paese sono state analizzate attraverso alcuni
indicatori che prendono in considerazione ogni fase della vita lavorativa della donna:
– i vincoli sulla libertà di movimento (sia la possibilità di andare concretamente al
lavoro, sia la capacità di viaggiare);
– la valutazione delle leggi e degli strumenti che permettono alle donne di entrare
nel mondo del lavoro.
– il matrimonio;
– la maternità:
– la posizione pensionistica delle donne.
L’Italia, in questo contesto ha un punteggio mediamente alto, stabilizzatosi da 4-5
anni al 94,38.
Ma non esiste ancora parità!
L’importanza del ruolo della donna nel mondo del lavoro sembra un fatto ormai
pacificamente riconosciuto. Numerosi sono gli studi che dimostrano come il ruolo
femminile, sia in ambito lavorativo, economico, finanziario, sociale e sportivo, abbia
un impatto significativo sullo sviluppo e sulla crescita di un Paese.
In Italia l’impianto normativo esistente sembra garantire una sostanziale parità
giuridica per quanto riguarda le regole di accesso al lavoro unitamente alle regole di
svolgimento dello stesso e da tempo ci si muove in un’ottica di progressiva
eliminazione delle discriminazioni fondate sul genere.
Da lungo tempo si combatte contro le disparità tuttora riscontrabili nella pratica e
contro il fenomeno della scarsa partecipazione delle donne al mercato del lavoro,
disparità sovente riscontrabili in quei contesti ove, a parità di tutele normative,
permangono notevoli differenze tra uomini e donne a livello di prospettive di
carriera, di qualificazione professionale, di formazione imprenditoriale, di parità di
retribuzione.
Tali disparità consentono, purtroppo, di affermare che il cammino sinora percorso è
stato contrassegnato da numerosi successi, ma che la strada da percorrere è ancora
lunga.
Occorre quindi adottare ulteriori, nuovi e diversi strumenti per superare, nei fatti,
effettive disuguaglianze, è infatti indispensabile che nell’ambito di una collettività si
lavori tutti insieme, sia sotto il profilo dei cambiamenti culturali, economici e
sportivi, sia sotto il profilo dei cambiamenti materiali, perché i cambiamenti di breve
respiro, sovente tamponano soltanto un’emergenza, quelli più duraturi si possono
realizzare solo con il contributo di tutte e di tutti.
Arriveremo in tempi brevi alla parità tra uomini e donne nello sport e nel mondo del
lavoro?
“Proprio giorni fa il Ministro dello Sport Vincenzo Spadafora ha assicurato che a gennaio 2021 il
professionismo dello sport femminile sarà legge. Potrebbe essere una svolta importante che
rivoluzionerebbe il mondo dello sport anche se conosciamo tutti i tempi e gli imprevisti della
politica. Ad ogni modo in un momento così difficile e confuso per lo sport in generale si comincia ad
intravedere una piccola speranza”.
“La parità di genere è strettamente legata alla giustizia sociale e rappresenta uno degli Obietti
cardine dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile. L’Agenda 2030
rappresenta un’opportunità importante per unire gli sforzi a livello globale e sviluppare politiche
coerenti per il raggiungimento dell’uguaglianza di genere”.