“Abbattere le barriere”. Sembra pleonastico, ma negli Stati Uniti il razzismo rimane un problema d’attualità. Così, “The International Tennis Hall of Fame” ha aperto un nuovo museo digitale che aiuta il viaggio nella storia dei tennisti neri d’America.
“Abbattere le barriere l’ATA (American Tennis Association)e i pionieri neri dl tennis” ha una cronologia multimediale che abbraccia più di 120 anni di storia del tennis afroamericano fino ai giorni nostri. La mostra racconta le lotte e l’evoluzione del tennis nero, e le vite e le carriere dei suoi campioni dai primi anni del 1900 ad oggi.
A conferma delle difficoltà incontrate dai giovani di colore nel mondo delle racchette, il protagonista principale, l’unico campione di primissima qualità resta Arthur Ashe con la sua straordinaria vittoria degli US Open 1968 (seguita da altri due Slam, gli Australian Open ’70 e soprattutto Wimbledon ’75). Tanto che sulla sua figura è improntata un’esperienza virtuale, che fa da fulcro al viaggio molto dinamico, attraverso immagini e interviste video, per esplorare questa affascinante storia nella storia in cinque distinti periodi di tempo: Sopravvivenza creativa (1874-1910); Antipasto (1910-1938); Riforma (1938-1955); Partecipazione (1955-1965); Liberazione (1965-oggi).
La mostra non si limita a mettere in evidenza le storie dei principali attori afroamericani della disciplina, Arthur Ashe, Althea Gibson e il dottor Robert Johnson, che ha fondato l’ATA, ed è conosciuto come il “padrino” del tennis nero, per aver creato negli anni 20 un campo da tennis a pagamento per bambini afroamericani, assumendo degli istruttori, poiché nel sud fortemente segregato non esistevano di certo campi pubblici dove i neri potevano imparare il tennis, e molti non avevano soldi per le lezioni. Johnson fu inoltre determinante nell’incoraggiare e finanziare le carriere atletiche sia di Althea Gibson che di Arthur Ashe, che allenò personalmente.
“The Barriers” rivela ed esalta alcuni degli individui e delle organizzazioni meno conosciuti, ma di grande impatto, che hanno lottato per le opportunità e l’uguaglianza nel tennis per i neri. Che, dopo alcune sporadiche scintille, come Zina Garrison, Lori McNeil e Chanda Rubin fra le donne e Malivai Washington, James Blake, grazie alle sorelle Venus e Serena Williams – entrambe pluri-campionesse Slam e numero 1 del mondo – ha avuto un notevole impulso a tutti i livelli, trainando una serie di colleghe di colore di spicco, portando anche una di loro, Sloane Stephens, ad aggiudicarsi gli US Open 2017 nella finale derby con l’altra afroamericana, Madison Keys.
In attesa dell’esplosione di Coco Gauff, dopo quelle incompiute di Alexandra Stevenson e Taylor Townsend.
Frances Tiafoe in campo con la mascherina di Black Lives Matter. La scritta con il nome del movimento compare anche sulle sue scarpe
Oggi, fra gli uomini, spicca la personalità di Frances Tiafoe che, al massimo è entrato nei “top 30” della classifica mondiale ma, ad appena 23 anni, ha ancora grandi margini di progresso. E, soprattutto, ha lo spirito per sostenere il ruolo di leader del tennis afroamericano.
Infatti, sulla scia dell’iniziativa “Abbattere le barriere” lanciata dalla Hall of Fame, nel ricevere il premio umanitario dell’ATP intitolato Arthur Ashe Humanitarian Award in the 2020 ATP Awards, ha scritto una toccante lettera al profeta del tennis nero.
“Caro Arthur,
Crescendo, non ho avuto molto. I miei genitori sono entrambi immigrati dalla Sierra Leone. Mio padre era il custode di un circolo nel Maryland, e sono stato fortunato: ho potuto praticare questo sport fin da giovanissimo, anche se non avevo i soldi o le opportunità di molti altri bambini. Nessuna di queste cose mi ha impedito di sognare in grande. Mi sono spinto al limite ogni giorno con un gran sorriso sul viso. E ora eccomi qui, a 22 anni, e scopro di aver vinto l’Arthur Ashe Humanitarian Award. Quel ragazzino con grandi sogni ora ha il suo nome associato al tuo. È pazzesco.
So che questo non è solo un premio. È un onore tremendo e una responsabilità enorme. Non sono più solo quel ragazzo sorridente che cresceva. So che devo essere un simbolo e fare la differenza nel mondo.
Quest’anno io e la mia ragazza abbiamo realizzato un video, “Racquets Down, Hands Up” (Giù le racchette, su le mani), per cercare di diffondere la consapevolezza sulle morti ingiuste degli afroamericani negli Stati Uniti.
Siamo riusciti a coinvolgere molti tennisti neri, da Serena Williams e Coco Gauff a Gael Monfils e Jo-Wilfried Tsonga. Volevo che la gente sapesse che tutti contano. Non importa chi sei, da dove vieni o qual è il colore della tua pelle. Tutti hanno l’opportunità di essere qualcosa di speciale. Io, infatti, ero uno di quei ragazzi che non avevano grandi possibilità di farlo, di arrivare fin qui. Vincere questo premio è solo un promemoria che ora che ci sono per davvero, devo ripagarlo andando avanti e aiutando le prossime generazioni.
Non ho avuto la fortuna di esserci quando tu stavi facendo le tue grandi cose, ma so che sei stato molto più grande del tennis. Avresti potuto essere il Presidente! Qualcosa fra le cose che hai detto rimane sempre con me: “Da quello che otteniamo, possiamo prenderci da vivere; quello che diamo, tuttavia, fa una vita”. Voglio dire, dannazione, è profondo. Niente di quello che hai fatto è stato per te. Stavi solo cercando di essere prima di tutto una persona e poi un atleta. Per te si trattava sempre di aiutare gli altri. E questo è davvero fonte di ispirazione.
Una delle cose più folli di te è che tutti conoscono tutto il lavoro che hai fatto per rendere il mondo un posto migliore. Ma hai vinto il Grande Slam, fratello! Vorrei poter entrare nel tuo cervello per scoprire come sei riuscito ad avere successo in campo pur essendo una persona così capace anche nel campo umanitario. So che bilanciare entrambe queste cose non è facile, specialmente quando hai tutti gli occhi puntati addosso.
Una delle cose più grandi che ho imparato io è che non puoi cercare di raggiungere le aspettative degli altri. Devi solo sforzarti di essere la migliore versione di te stesso ed essere il tuo più grande critico. Penso che questo mi aiuti a sentirmi a mio agio dentro la mia pelle. So che sto dando tutto me stesso dentro e fuori dal campo.
Nel grande schema delle cose, so che c’è un orologio sulla mia carriera. Non posso giocare ai massimi livelli per sempre, ma resterò in quest’ambiente per molti, molti anni una volta che avrò appeso la racchetta al muro. E’ terribile che tu non sei più qui e non sono riuscito ad incontrarti di persona, ma stai tranquillo. Stai ancora lasciando un segno. Ecco perché so che è importante avere obiettivi anche al di fuori dello sport. Non siamo solo atleti. Siamo esseri umani. C’è di più al di fuori del tennis.
Negli ultimi due anni, credo davvero di aver trovato il mio scopo. Mi sono reso conto di aver avuto la fortuna di poter sostenere finanziariamente la mia famiglia. Ho iniziato a pensare: so di essere pronto e la mia famiglia è a posto. Ma la vita non riguarda più di questo? E quei ragazzi che sono dove ero io non molto tempo fa?
Dieci anni fa ho pensato che sarebbe stato fantastico visitare lo stadio che ti hanno intitolato dopo che hai vinto gli US Open. Anche solo entrare nell’Arthur Ashe Stadium sarebbe stato fantastico per me allora, figurati giocarci e magari competere ai massimi livelli. Ricordo bene, nel 2014, quand’ho giocato al Madison Square Garden, mi sono sciolto. Ero un ragazzo di 16 anni di College Park, nel Maryland, figlio di due immigrati che scaldano l’Arena più famosa del mondo per Novak Djokovic e Andy Murray. Non riuscivo a togliermi dalla testa quant’era folle l’atmosfera là dentro quando ci giocava John McEnroe. Ancora adesso, se ci penso, mi dico che è stata un’esperienza pazzesca.
Due anni fa sono arrivato ai quarti di finale degli Australian Open e ho partecipato alle celebrazioni di LeBron James. Uno dei migliori giocatori di basket di sempre ha commentato sul mio profilo Instagram. E io: “Aspetta, cosa?”. Non è pazzesco? È un eroe della mia infanzia e sa chi sono! Queste cose mi ispirano tantissimo. Ho avuto bambini tanto piccoli che mi sono venuti incontro dicendomi che da grandi che vogliono essere come Frances Tiafoe. E ogni volta che mi succedono cose così salto per aria.
Ecco perché per me non si tratta solo di creare la mia famiglia. E quei ragazzi? Voglio aiutarli a scrivere le loro storie proprio la prima volta. Se che ce ne sono molti là fuori che non pensano di poter realizzare i loro sogni. Io voglio cambiare questa situazione. Credo davvero che il successo sia dentro tutti noi. Voglio dipingere un quadro per loro che non sapevano fosse possibile. Voglio aiutarli a farlo diventare realtà.
Caro Arthur, hai indicato a tanti di noi la strada, e ora voglio ripagarti, continuandola. Voglio aiutare questi ragazzi a capire che hanno bisogno di trovare la loro passione e di impazzire e di esserne ossessionati. Io ho trovato il mio sogno e posso viverlo ogni giorno. Soprattutto voglio che, come prima cosa, siano brave persone. Tu hai sempre trattato tutti bene e con rispetto. Voglio continuare a trasmettere il messaggio attraverso le prossime generazioni. Se, tanti anni dopo, la gente dirà che Frances Tiafoe è stato soprattutto una grandissima persona e poi anche un atleta, sarò davvero felice.
Ciò non toglie che voglio che la gente mi ricordi anche come un grande tennista. Non voglio essere uno di quelli che è stato dimenticato. Voglio avere l’intero pacchetto, dentro e fuori dal campo. Ho avuto la fortuna di avere persone come te che hanno dimostrato che è possibile. So che devo continuare a lavorare tutti i giorni. Ho avuto la fortuna di vivere. Ora, è il momento di fare una vita. Tu, per il mondo, hai fatto più del tuo dovere. Prometto che farò sempre il mio.
Sinceramente, Frances”.
(Testo e foto tratte da supertennis.tv)