Intanto, grazie. Chi ama il tennis e lo sport deve ringraziare Novak Djokovic perché esiste, perché, dal successo agli Australian Open 2008, ha interrotto dopo undici Slam l’egemonia Federer-Nadal e da allora ha ostinatamente inseguito i due incredibili campioni che sembravano imprendibili, s’è trascinato dietro il coetaneo Andy Murray allargando il club ai Fab Four, ravvivando l’equilibrio al vertice, per poi sprintare ed arrivare a prendersi addirittura 19 Majors, appena a un tacca dal record di 20 della premiata ditta “Fedal”.
Di più, molto di più: Nole I da Serbia, il grande difensore, il miglior risponditore, il campione di gomma che rimanda di là del net sempre una palla di più, è diventato l’emblema del super-atleta del tennis moderno, competitivo su tutte le superfici, capace di tenere ritmi di palleggio talmente alti da asfissiare l’avversario, in grado di migliorarsi continuamente nella tecnica e di trovare soluzioni incredibili quando si trova con le spalle al muro.
E’ cattivo? Si è agonisticamente molto cattivo, è addirittura feroce, nel nome del difficile passato che ha dovuto vivere: lui che è stato scoperto e portato al tennis per caso partendo dalla pizzeria gestita dai genitori in montagna; lui che, povero e senza conoscenze di racchette in famiglia, si è allenato sotto le bombe della Nato in una piscina riempita di terra rossa con un minimo “out”; lui che è dovuto emigrare a Monaco di Baviera alla scuola di Niki Pilic perché in patria non esistevano strutture valide; lui che non è mai riuscito a crescere nell’applausometro del pubblico: agli inizi perché faceva l’imitazione dei più forti, poi perché si ritirava per problemi fisici, quindi perché per alcuni fingeva infortuni che non si rivelavano tali e infine perché ha contestato tutto, ma proprio tutto.
Dal sindacato ATP Tour, alle norme e allo stesso vaccino anti-Covid. Per farsi poi addirittura espellere agli Us Open 2020 quand’ha sbattuto via una palla colpendo senza volerlo un giudice di linea.
Nole si è perso per un anno in una crisi misteriosa che pochi hanno compreso, ha inseguito la chimera di un santone che proclamava “Pace e Amore”, s’è eretto a simbolo della sua piccola nazione marchiata da una cattiva stampa, ha licenziato due super-coach come Boris Becker ed Andre Agassi, fa faccine di scherno in campo, strabuzza gli occhi in modo enigmatico e spacca le racchette senza vergogna. Nole può essere arruffato, smodato e selvaggio, può irrompere in violente e isteriche litigate col suo clan in tribuna, può scalciare un tabellone pubblicitario e sputare schifato sul mitico Philippe Chatrier e può quindi urlare al mondo tutta la sua frustrazione dopo essersi evitato il quinto set contro Matteo Berrettini.
Può dover recuperare due volte due set di svantaggio, scrivendo ancora una volta la storia al Roland Garros, peraltro contro i giovani di grande talento ma ancora non di tenuta fisica e nervosa all’altezza come Lorenzo Musetti e Stefanos Tsitsipas. Ennesimi martiri del tennis al meglio di cinque set al quale i grandi vecchi sono avvezzi perché l’hanno frequentato anche nelle finali di tornei ATP Tour (ricordate Roma?) e in coppa Davis, un tennis-maratona completamente diverso dal tennis-sprint al meglio dei tre set.
E’ in vantaggio 30-28 su Rafa Nadal che ha appena battuto nel suo regno del Roland Garros, diventando il primo a piegare due volte il più grande attore di sempre su quella terra rossa.
E’ in vantaggio 25-11 sull’amico Andy Murray, che tentò di portarlo sotto la bandiera britannica e in cambio s’è visto stoppare in quattro finali degli Australian Open. E’ in vantaggio contro gli altri protagonisti Slam, da Stan Wawrinka (19-6) a Marin Cilic (17-2) a Dominic Thiem (7-5). Ed è in vantaggio nei testa a testa contro tutti i giovani di spicco: 6-2 con Tsitsipas, 5-3 con Medvedev, 6-2 con Zverev 6-0 con Shapovalov.
La boa della terra rossa di Parigi è sempre stata ostica da girare per il re di Serbia che s’è visto sbattere la porta in faccia in ben quattro finali. Mentre invece sull’erba di Wimbledon si sente forte, con 5 successi, così come sulla superficie-madre, il cemento l’aperto di New York, dove ha trionfato 3 volte in 8 finali. Il suo problema più grande è come sempre se stesso, l’ambizione che gli cova nell’animo e che lo motiva e insieme lo corrode. Saprà resistere al suo nemico numero 1? Perché, cifre alla mano, nessun altro rivale in carne e ossa sembra essere in grado di sbarrargli davvero la strada. Non dopo le impressionanti prove di forza di Parigi. Anche se il tennis propone ogni giorno nuove sfide e nuove situazioni. E si rinnova nel suo fascino.
(testo tratto da supertennis.tv e foto di Patrick Boren)