“Ho avuto tante delusioni durante la mia carriera, credo che quel che apprezzo di più di me sia il fatto di essere rimasta forte e di aver creduto sempre in me stessa”. Nel momento dell’estasi, subito dopo essersi inginocchiata sull’erba di Birmingham per festeggiare il successo su Daria Kasatkina – il primo personale, alla terza finale, il primo di sempre di un’araba sul WTA Tour -, la 26enne tunisina ha recuperato immediatamente la sua freddezza, sfoderando la solita, fortissima, personalità.
Quella che già le aveva aperto le porte della storia dello sport come prima araba a firmare un titolo under 21, al Roland Garros 2011 (riscattando la finale persa l’anno prima), per sorpassare poi da professionista, con la classifica-record di 24 del mondo, il primato di un’araba nel WTA Tour di Selima Sfar (che era arrivata al numero 75) e quindi porre una nuova pietra miliare raggiungendo i quarti sul cemento degli Australian Open 2019. Per ribadire la sua versatilità tecnica coi due quarti turni sulla terra rossa del Roland Garros negli ultimi due anni e ora col titolo sull’erba di Birmingham.
Ons si è sempre ribellata alla piccola realtà cui sembrava destinata: alta appena 167 centimetri, non è certamente un fenomeno di potenza e viene da un paese senza pedigree tennistico, minuscolo come Ksar Hellal (50mila abitanti), dai tre anni appena non ha più lasciato la racchetta che le aveva regalato la madre per poi vagare fra i campi da tennis degli hotel ed emigrare sempre più lontano per imparare l’arte fino a spingersi già a sedici anni in Belgio e in Francia.
Anche se, da fedele credente, è soprattutto convinta che le sue fortune in terra, certi net, certe righe, che l’accompagnano in campo, nascano da Lassù: “Sì, è vero, guardo spesso in alto, a Dio, devo ringraziarlo di questa possibilità che mi dà. Sembra che lui, l’universo, tutti vogliano che vinca”.
Oggi, dopo questa “lunga e dura transizione, da junior a pro, dopo questa lunga battaglia per vincere il primo titolo WTA, dopo la scalata negli Slam, primo, secondo turno, primo, secondo turno…”, Ons Jabeur la pioniera del tennis arabo è autenticamente ed evidentemente felice: “Sono molto orgogliosa perché vedo che finalmente il duro lavoro mi sta ripagando”. Ons ha un’arma segreta, l’ironia: “A differenza delle prime due finali perse, stavolta non ho vinto il primo set”.
Anche se la pressione sale: “Ora la gente in Tunisia s’interessa di più al tennis ed è sempre più eccitata dai miei risultati. Ma non s’accontenta più del quarto turno in uno Slam, vorrebbe vedermi vincere un Major. Vorrei che fosse così facile. Perciò avverto la pressione ma è tanta anche la gioia e la motivazione di ispirare sempre più giovani”.
La pressione, se possibile, aumenta: “Sto giocando non solo per me, sto giocando per un intero continente. In altri paesi hanno molti altri giocatori, non solo uno. A volte è difficile sosteneretutto ciò: sono solo un essere umano e a volte ascolto la negatività. Ma sto imparando a dire basta. Sto imparando a non ascoltare. Sto imparando a concentrarmi su me stessa”.
Da fuori, sembra che Ons faccia tutto facile. Da fuori, sembra che Ons non si alleni abbastanza.
Lei, si oppone fiera a questa facile tesi: “La gente non sa che cosa ho passato e quanto lavori duro, sono una di quelle che lavora più di tutte. Io ho lavorato duro per avere questo talento, ho anche fatto tanti sport prima, pallamano, calcio, così ho sviluppato il tocco e il contatto con la palla ma per un bel pezzo, nello sviluppo della carriera tennistica, non mi ha aiutato. Ce l’ho fatta grazie alla pazienza, concentrandomi più sulle cose positive che su quelle negative”.
La neo regina di Birmingham che sull’erba trova le condizioni ideali per sciorinare i suoi tocchi di fantasia ha le idee chiarissime: “So qual è l’obiettivo e sono concentrata su quello”.
Tanto per intendersi, i media hanno contestato le scelte del suo team, e lei, orgogliosa, appena può ribatte davanti a microfoni e telecamere che l’assediano: “Il lavoro che stiamo facendo mi sta portando al vertice. Con coach Issam vado alla grande ed anche con il mio preparatore atletico, Kareem. Non importa che sia mio marito e non importa che non abbia lavorato con tanti giocatori prima, io so che è bravo e se un giorno vedrò che non miglioro fisicamente, discuteremo e vedremo che succederà. Di sicuro ieri sono stata l’unica che ha giocato tre match fra singolare e doppio… E li ho vinti tutti”.
Anche se la transizione dalla terra all’erba non stata facile, come tutta l’esistenza di Ons: “Tutto andava toppo in fretta, non riuscivo a mettere una palla in campo, non sapevo proprio che cosa avrei combinato a Birmingham su una superficie che mi è sempre piaciuta e dove due anni fa ho vinto un torneo ITF. Il mio coach mi ha tranquillizzato, abbiamo fatto un passo alla volta, come sempre, e il piano ha funzionato… Ho vinto il mio primo titolo WTA”.
E’ sempre una questione di ordine e di priorità con se stessi: ”Da giovane, agli inizi, colpivo la palla come mi veniva, seguendo la mia personalità. Mi piacciono le cose divertenti e folli, mi piacciono le cose originali. Mi stupisco anch’io di quanto colpi posso fare tanto che a volte è difficile scegliere quello giusto. Mettere il mio gioco in ordine mi ha aiutato a crescere in tutto”.
Ma se qualcuno le suggeriva di smetterla con le palle corte, lei gli rispondeva allora come adesso: “Sì, sì, hai ragione”. Ma non l’ascoltava, e non l’ascolta nemmeno ora. “Sono io quella che gioca in campo, sono io quella che fa i colpi e si prende la responsabilità, nel bene e nel male”. Solo lei è Ons Jabeur.
Tratto da supertennis.tv