Il gol di «un» Maldini allo Spezia non è solo un gol. E’ un dettaglio burocratico che va oltre, molto oltre, alla nuda cronaca e lega (o proprio perché lega) tre generazioni, addirittura. Cesare, Paolo e Daniel, 20 anni il prossimo 11 ottobre. Con il rossonero del Milan maniglia e famiglia.
Lasciamo che la storia faccia il suo corso, con calma. Occupiamoci dell’episodio, della ricorrenza. Cesare era un triestino che, nato terzino, diventò battitore libero. Elegante, aveva piedi così educati da offrire, ogni tanto, bignè agli ospiti: da qui le «maldinate». Che stile, però. E che capitano: fu lui, nel 1963, ad alzare la Coppa dei Campioni in quel di Wembley, strappata al Benfica di Eusebio. La prima di una squadra italiana.
Vice di Bearzot in Spagna, ct della Under (3 titoli) e della Nazionale: spirito del suo tempo, e di un calcio antico ma non certo rozzo, il Novecento di Rocco e i suoi «manzi». Di Ce-Ce-Cesarone ricordo certe trasferte nell’Est d’Europa, e la ricerca spasmodica delle formazioni avversarie per regolare le marcature. Era così, allora, e non c’era nulla di cui vergognarsi.
Paolo ne è stato l’evoluzione. Terzino e poi centrale (ecco), destro e sinistro, colpo di testa, e testa alta, il papà come culla tattica, il barone (Liedholm) come precettore e Sacchi come esploratore di spazi lontani, incogniti. Ha attraversato due secoli e due mondi, Paolino, e di Champions ne ha vinte cinque, addirittura, le ultime due capitano. Il più completo difensore che il nostro calcio abbia prodotto, capace, appunto, di ricoprire tutti i ruoli, nella versione moderna o nel copione canonico.
Tocca a Daniel, cavallone d’attacco. L’energia del nome, il peso del cognome. Non ti curar di questo, guarda e sgobba. Scrisse, John Steinbeck: «La generazione più giovane è la freccia, la più vecchia è l’arco». Servono l’una e l’altra, l’una all’altra.
Roberto Beccantini (Foto e testo tratto da facebook)