“Papà, respira”. Ogni volta che comincia Indian Wells riecheggia quella telefonata del 16 marzo 2014 quando Flavia Pennetta, emozionantissima, chiamò casa, a Brindisi, per segnalare al super tifoso papà Oronzo che aveva vinto il torneo più importante della carriera: prima italiana di sempre, scrivendo la storia come già con ingresso fra le “top ten” del mondo (al numero 6) e la scalata in doppio all’1, oltre che con successo alle Finali Wta. “Come faccio a dimenticarlo? Fu un momento di ansia enorme, fra noi!”.
Il torneo, in replica da ieri, resta un miraggio nel deserto per gli azzurri.
“Per me resterà un ricordo bellissimo: il mio primo torneo più grosso in un posto bellissimo dove non avevo mai giocato bene. Non avevo una bella sensazione nell’impatto con la palla”.
Nel 2013 Flavia aveva perso al primo turno contro Francesca Schiavone.
“Ma venivo da sei mesi di stop dopo l’operazione al polso e tanti dubbi su come e se sarei mai tornata come prima, dal numero 26 del mondo ero scesa fino al 166, quando a Wimbledon arrivai al quarto turno con ritiro di Azarenka e la crisi di panico, mia e della Cornet, e poi agli Us Open entrai come ultima in tabellone, feci semifinali e per la prima volta mi dissi: “Sono tornata”
A Indian Wells 2014 Flavia giocò per la prima volta sciolta: spinta dall’amore.
“Tutti gli inizi sono particolari e belli, io avevo tolto un po’ di filtri alla storia con Fabio (Fognini) che era appena cominciata. Ero carica di entusiasmo e di energia, mi sentivo completa e felice in tutto”.
Così volò oltre la numero 1 del mondo Li Na e superò la 2, Aga Radwanska. E risalì fino al 12 della classica!
“Con Li Na ci siamo uccise, che partita, che qualità di gioco, indimenticabile”.
La Pennetta è nata sulla terra ma ha battuto 12 “top 5” su 13 sul cemento.
“Mi ero sempre definita una terraiola, all’epoca si imparava sul “rosso” mentre ora nei circoli ci sono più campi in duro. Poi ho visto che avevo un tipo di gioco che si sposava col cemento, ma dovevo essere più aggressiva e osare di più, io che sono metodica e precisa e non sopporto l’errore. Ci ho lavorato sopra, mi sono allenata tantissimo per trasferire i progressi in partita”.
Dal 2009 Flavia ha sprintato su se stessa.
“Ho avuto la pazienza di saper aspettare: il duro lavoro paga sempre. Così, da giocatrice molto costante, dopo l’operazione ho cambiato allenatore e gestione generale e sono salita di livello. Ho avuto il coraggio di cambiare e vado fiera dei risultati”.
A casa Fognini il tennista numero 1 è Flavia che ha vinto anche gli US Open 2015. Oggi il marito, Fabio, gioca Indian Wells.
“La superficie per lui conta poco. Per me dove lo metti lo metto, anche sul veloce indoor, può giocare benissimo. Adesso poi non è mai stato così allenato, così “fit”, eppure non riesce a concretizzare coi risultati. Ha perso delle partite di poco, al terzo set, così perde anche sicurezza e dubita un pochino. E pensare che erano due-tre anni che non ci metteva tutto questo impegno. Gl serve un pizzico di fortuna. Lo so: poi passa e riprende il ritmo”.
Flavia Pennetta è diventata direttore tecnico di Fabio Fognini?
“Gli dico solo: “Ti capisco, lo dici a me che un anno ho fatto nove primi turni di fila…”. Lui, però, si era abituato troppo bene: anche se non gli funzionava il tennis per tre settimane poi gli tornava all’improvviso e faceva risultato… Ora poi che è anche marito e padre, ed è maturato, se non vince, gli viene qualche dubbio che a stare troppo lontano da casa trascura la famiglia”.
Fabio è motivato anche da Berrettini, Sinner e compagni.
“Vincendo due anni fa Montecarlo ha fatto cadere un muro aprendo una strada: ha dimostrato che si può fare qualcosa di più. In prospettiva coppa Davis, questa squadra così forte e competitiva lo motiva, dopo aver tirato il carro, con Seppi che prima era più solido, poi meno e a Fabio è mancata un po’ una spalla. E’ il più anziano ed esperto, è pronto a portare qualità e tranquillità a questi giovani pieni voglia di combattere. Da leader, ha già vissuto certe situazioni…”.
Vincenzo Martucci (ilmessaggero del 8-10-12)