Vika Azarenka che arriva in semifinale a Indian Wells mette subito curiosità: quanti anni ha? Sembra giocare da una vita, ed è così perché frequenta stabilmente il circuito WTA dal 2006, ha vinto due titoli Slam (Australian Open 2012 e 2013) in cinque finali, sempre agli US Open, l’ultima volta l’anno scorso, è stata numero 1 del mondo nel gennaio 2012, ha firmato 21 titoli, eppure all’anagrafe, la bielorussa allevata negli States dai 15 anni sulle orme di Maria Sharapova inseguendo l’idolo Steffi Graf, è datata 31 luglio 1989.
A 32 anni non è una bambina ma non è nemmeno così anziana anche perché fisicamente è sempre tirata a lucido; ha una storia privata elettrica, con un amore da copertina con il cantante Redfoo, un’odissea che l’ha portata alla depressione dopo un lungo infortunio, un figlio, Leo, col compagno Billy McKeague col quale ha portato avanti e finalmente vinto soltanto dopo due anni una delicata causa di affidamento fra Bielorussia e California. Dove vive e dove timbra il cartellino a Indian Wells per la dodicesima volta e sta facendo fulgore come negli anni belli, quando vinse il titolo nel 2012 e nel 2016, sulla sua superficie preferita, il cemento all’aperto. “Ho sempre amato giocare i grandi tornei e Indian Wells come un quinto Slam, in posti così ho sempre una motivazione maggiore”.
Vika ha fisico e tecnica, è stata solo sfortunata a incrociare Serena Williams all’apice della carriera, altrimenti si sarebbe ritagliata uno spazio ancor maggiore. A prescindere dai suoi stop più o meno voluti dal circuito.
Ma la qualità migliore della bella atleta di 1.83 è la personalità: “Non cambio atteggiamento in base all’avversario, ho sempre la stessa mentalità, mi preoccupo della mia metà campo e cerco di controllare lo scambio, il gioco, il risultato. Magari cambio qualcosina nei colpi, ma l’approccio è sempre quello”.
Come la dedizione, la voglia di migliorarsi continuamente: “Non direi che non sono una giocatrice aggressiva, ma il gioco diventa sempre più veloce e per me è importante migliorare nella copertura del campo e fare il punto con meno colpi. Penso che funzioni molto bene, da fondo, giocare in contrattacco e tenere un’alta intensità. Ma richiede un grande sforzo. Perciò cerco cose per implementarle e rendermi la vita più facile. Cerco di essere un’atleta più efficiente”.
Così facendo, può anche sbandierare la sua soddisfazione: “Possiamo dire che qui è una risurrezione. I risultati stanno arrivando, sono quelli il modo per verificare i progressi, soprattutto dal di fuori. Per un’atleta valgono anche tanti piccoli obiettivi che ci si pone, giorno dopo giorno, ma certo quando si bloccano i risultati si vivono tanti alti e bassi di emozioni e fiducia. Io sto cercando di avere un rendimento il più continuo possibile nel fare tanti piccoli passi, evitando di andare troppo su e troppo giù”.
Il segreto vero è nella testa. Vika lo sa: “Il mondo sta cambiando la percezione della salute mentale, è qualcosa di invisibile, ma è forte e potente come la salute fisica”.
“La consapevolezza è molto importante – aggiunge – e nello sport il discorso mentale può essere pericoloso: bisogna analizzare bene come ti senti in campo ma anche fuori, e preparare al meglio i più giovani ai social media perché siano in grado di sostenere il proprio equilibrio interno. E’ super importante. Alla fin fine siamo tutti esseri umani ed abbiamo le nostre emozioni, anche se magari mettiamo una maschera e giochiamo un ruolo”.
Il pericolo è dentro di sè: “Quando non sono razionale, mi intestardisco a mettere il gioco su un piano sbagliato per dimostrare a me stessa che posso farcela anche se le cose sono più difficili. Così, spesso, mi è successo di rendermi la vita più dura del dovuto. Confermo, so analizzare avversari e tattiche, ma l’abilità vera è nel mettere in pratica quello che sai”.
L’esperienza è una gran bell’arma: “Qualche volta fai affidamento alle cose che già ti sono successo in passato, e sicuramente ripetersi e ripetersi ancora nei successi aiuta. Così come tanti anni sul Tour mi danno un’apertura mentale diversa, una visione complessiva che da giovane non avevo”.
Ma in definitiva la salvezza è in una parola semplice e abusata: “Decide la volontà che hai di superare i problemi. Io ho sempre amato giocare sotto pressione perché mi dà una certa adrenalina”. La stessa che cerca ancora oggi, dopo aver vinto il trofeo più bello: “La miglior decisione che ho preso nella vita è stata mio figlio”.
Vincenzo Martucci (Testo e foto tratti da supertennis.tv)