Le cose cambiano. Tre anni fa, Paula Badosa la bella ragazza spagnola che fa impazzire gli spettatori, col sorriso smagliante e il fisico da modella combatteva con una depressione violenta senza riuscire a replicare da pro i successi da juniores, a partire dal trionfo al Roland Garros, un’antesignana delle problematiche rilanciate negli ultimi tempi da Naomi Osaka e da altre grandi atlete.
Due anni fa, da numero 95 del mondo, lottava ancora in un torneo ITF con 25mila dollari di montepremi contro cinque rivali giapponesi over 290 della classifica, e la sua storia non compariva nel Media Guide della WTA. All’alba di quest’anno era numero 70 della classifica. Ora è 26, è soprattutto una delle star più ricercate e vezzeggiate del circuito e disputa la prima finale di “1000” a Indian Wells contro Via Azarenka.
Paula Badosa, bionda, occhi chiari, alta 1.80, fidanzata col modello ed attore cubano Juan Betancourt, idolo di tanti per il suo aspetto e di altrettanti per il servizio e il rovescio a due mani davvero importanti, capace di veloci transizioni difesa-attacco, grande interprete della terra rossa e sempre più anche di altre superfici, a cominciare dal cemento, è una ragazza intelligente, nata a New York da genitori impegnati nella moda, dai 7 anni risiede fra Barcellona e Valencia, e sembra una persona che davvero non debba chiedere null’altro alla vita.
Eppure, anche lei, persino lei, s’è bloccata di colpo “davanti alle aspettative dell’esterno che mi arrivavano così forti, quando hai 18-19 anni, non sei pronto a ricevere questo tipo di messaggi”.
Il suo grido di dolore s’è espresso in un: “Non siamo robot”. Ha fatto terapia, ha cercato un coach con cui dividere le sue angosce: “Quando vinci sei grande, quando perdi non sei abbastanza forte per giocare a tennis”.
L’ha trovato in Javier Martì, che non aveva saputo realizzare le promesse da futura star che gli erano state ritagliate addosso. “La salvezza è stata il lavoro, comunque sia non ho mai smesso di impegnarmi durante nell’allenamento”.
Lo scoglio maggiore resta nascosto dentro se stessi. Anche una volta uscita dalla tempesta, Paula si è incagliata spesso davanti all’impegno che vedeva come una montagna: “E’ complicato quando vuoi talmente tanto una cosa. La grande sfida del tennis è proprio mentale, giochi continuamente con la tua testa, e se non sei a posto anche se il fisico lavora, prestissimo sei travolta da pressione, ansia e depressione. Il tennis è uno sport molto duro, devi passare attraverso tante cose”.
Paula, oggi, è lontana dalla Paula del 2018, quando stava risolvendo i problemi di depressione, che però vuole ricordare: “Come si può vedere altre atlete hanno gli stessi problemi, credo che sia importante parlarne perché è una cosa normale”.
La rivelazione di Indian Wells ha avuto un avvio di stagione durissimo, colpita dal Covid, bloccata per 21 giorni di quarantena in Australia. Poi è stata solida, con le semifinali di Lione, Charleston e Madrid, il titolo a Belgrado, i primi quarti della carriera al Roland Garros e il quarto turno a Wimbledon, quando si è separata da coach Martì per legarsi a Jorge Garcia, che l’allenava quand’era junior.
Ha superato tre turni anche all’Olimpiade e a Cincinnati, stabilizzandosi fra le top 30: “E’ stato importante perché quando cambi allenatore sei sempre un po’ preoccupata, ma i risultati mi hanno dato la conferma di aver fatto la scelta gusta”. Finché non ha trovato questi dieci giorni da sogno nel deserto della California ed ha approfittato del calo delle più forti e delle condizioni che la favoriscono, a cominciare dai rimbalzi alti, sbarazzandosi strada facendo di Yastremska, Gauff, Krejcikova, Kerber e Jabeur.
“Sono stanca”, confessa Paula. “Non vedo l’ora di riposarmi, anche se amo così tanto il tennis che quando sono in campo me ne dimentico e mi godo il momento”.
Il suo punto di riferimento è il granitico Rafa Nadal: “Questa è lo sport della sofferenza, vale per tutti, e tutti devono trovare il modo per battere chi vuole fare le stesse cose dall’altra arte del net. Quindi, non dipende solo da te, ma anche dall’avversario. E’ complicato, è il tennis, l’unica soluzione è ricavare gioia dalla sofferenza, proprio come fa Rafa, fra gli uomini, mentre fra le donne il mio idolo è stata Maria Sharapova. Ammiro persone così, che sanno passare attraverso i momenti difficili perché mentalmente sono molto forti”.
Proprio il passato fa più forte e orgogliosa, oggi, la Badosa: “La prima cosa che mi passa per la testa nel pensarmi in finale a Indian Wells è rivedere i momenti di difficoltà, la depressione, e dirmi: “Non avrei mai pensato di poter giocare una finale”. Peraltro, è la prima in un torneo così importante e alla prima apparizione nel tabellone principale, per eguagliare l’impresa di Bianca Andreescu che ci riuscì nel 2019 e di Serena Williams che esplose da debuttante nel 1999. Davvero un bel salto per la spagnola che ad inizio stagione era 70 della classifica.
“Ho migliorato tanto il mio tennis e mentalmente sono molto in fiducia, mi sento più forte in tutto”. Il successo al Roland Garros juniores non è paragonabile alla finale nel “quinto Slam”: ”Allora, ero super giovane, in quel momento quasi non sapevo che cosa fosse il tennis, la strada è stata lunga e dura, ho lavorato molto, ma ora dimostro che appartengo al livello più alto”. Anche se i problemi alla spalla fanno paura quanto Vika Azarenka che le sbarra la strada in finale.
Vincenzo Martucci (Testoe foto tratti da supertennis.tv)