C’è un grande sconfitto, purtroppo lo sfortunatissimo Matteo Berrettini, e c’è un grande vincitore, Sascha Zverev, nella drammatica ed indimenticabile prima serata delle Nitto ATP Finals al Pala AlpiTour di Torino. Se infatti l’eroe italico deve arrendersi ancora in lacrime al destino, il tedesco si riscatta come essere umano e anche come tennista, dimostrando di non essere più l’Alessandro che conoscevamo. Addio al nibelungo protervo, addio al bambinetto che smoccola e piagnucola e protesta a ogni vincente dell’avversario e ad ogni errore proprio, addio al dio biondo bello e impossibile, addio al predestinato che irrompe sul circuito con arroganza e potenza conquistando Roma nel 2017 quando domina in finale Djokovic e sale al numero 3 del mondo (dov’è appena tornato), addio al viziatissimo erede dell’ex pro Alexander senior, addio al coccolassimo fratellino di Mischa il buono, addio all’altezzoso divo che snobba i Next Gen di Milano per sfilare alle ATP Finals Londra coi migliori 8 del mondo, addio al campione in pectore troppo presuntuoso che spezza le redini di mano ai super-coach Ivan Lendl e Juan Carlos Ferrero, addio – glielo auguriamo di cuore – al chiacchieratissimo giovane uomo che viene accusato di violenze da una ex fidanzata e viene snobbato come padre da un’altra compagna.
Con un primo set di massima concentrazione e dedizione e anche resilienza, Sascha doma al tie-break il beniamino di un’Italia che sogna da quarant’anni un altro Adriano Panatta, e lo fa solo con l’aiuto dell’umiltà e del rispetto dell’avversario. Solo rimettendosi a testa bassa al lavoro a ogni “15”, dopo che il romano gli salva 4 palle break e si procura due set point, nell’atmosfera chiaramente ostile ma corretta del Pala Alpitour. Che torna a fremere di italica passione dai fasti dell’Olimpiade invernale del 2006.
Alexander è grande nel tennis della prima ora e 23 minuti contro Berrettini e si merita il rispetto e anche gli applausi del pubblico, quando allunga gli scambi sbagliando pochissimo (appena 8 gratuiti contro i 18 di Matteo), quando utilizza al meglio la sua arma paralizzante del servizio (10 ace a 5), quando non tira indietro il braccio (20 vincenti a 15), quando mette insomma in pratica quell’esperienza che si è fatto sulla propria pelle in questi quattro anni anche di brucianti sconfitte, spesso in cinque set, quindi sempre sul filo di lana, dalla finale degli Us Open dell’anno scorso alle semifinali del Roland Garros e ancora degli Us Open di quest’anno.
“Ho avuto le mie chances ma non le ho sfruttate, il livello del primo set è stato molto alto. Penso di aver risposto molto bene contro Matteo che stava servendo molto bene, penso di aver giocato abbastanza bene anche da fondo, e alla fine ero davvero contento di aver portato a casa il tie-break”.
Alexander è ancor più grande quando reagisce alla smorfia e all’evidente infortunio dell’avversario di là della rete e all’atmosfera di sconcerto e delusione che ammanta le tribune all’improvviso schiacciando in un amen l’interrutore dell’euforia, è un uomo vero quando si gira di spalle a palleggiare nervosamente ma non resiste e sbircia preoccupato e dispiaciuto gli eventi che cambiano tutto a pochi assi da lui, e poi ancora è lo sportivo ideale quando scavalca il net con quelle sue lunghe gambe ed abbraccia e consola Matteo nel suo campo e disegna una faccina triste sulla telecamera.
Alexander è grandissimo quando prende il microfono e, evidentemente toccato dalla situazione, chiaramente partecipe per le sorti del nemico-amico-collega-fratello, come dev’essere sempre in una contesa sportiva e come purtroppo non è quasi mai nella vita. “La cosa più importante è che entrambi i giocatori alla fine della partita possano stringersi la mano e stiano bene. Oggi non è così. La peggior sensazione per un giocatore dopo essersi conquistato l’occasione e per un torneo come le Atp Finals è questa di dover lasciare il campo infortunato. Sono sicuro che molti di voi, tutti qui in Italia, non vedessero l’ora di vedere Matteo giocare tutte e tre le partite, forse le semifinali, forse la finale. E’ in un ottimo momento, forse il migliore della sua carriera, si è meritato di essere qui alle Finals, e sono sicuro che ha tutti i mezzi per qualificarsi il prossim’anno. Ha solo bisogno di star bene in salute, è uno dei migliori del mondo, e sono sicuro che non è l’ultima volta che lo vedremo su questo campo”.
Alexander è ancora grande quando si trattiene sul campo svuotato, davanti alle tribune svuotate, con l’animo e il cervello svuotato, e palleggia col fratello per scaricare la tensione, per non pensare al destino maligno che stavolta si è accanito contro l’avversario e resta però in agguato a rovesciare in un attimo anni di sacrifici e di lavoro di un atleta.
Alexander è il nuovo Alexander quando presenta il big match contro Medvedev: “Come sarà la rivincita di Parigi-Bercy quando ho perso netto, 6-2 6-2? Speriamo che non mi sentirò stanco come allora, sin dal primo punto: lui è il numero 2 del mondo e io il 3, siamo due giocatori di ottimo livello, cercherò di darmi la miglior chance per esprimermi e per vincere, speriamo di riuscirci e vediamo che succede”.
Così, non certo con le promesse e la voce grossa, e ancor meno coi piagnistei e i capricci da bambino, ma coi fatti di un uomo si diventa Alessandro il Grande.
Vincenzo Martucci (testo e foto tratti da supertennis.tv)