Condannato a vincere, condannato a combattere, Novak Djokovic è condannato a crearsi sempre un nuovo nemico per riaccendere la fiamma della disperazione selvaggia che alberga dentro di lui da quando correva a intermittenza fra il rifugio sotto terra e il campo da tennis, dribblando le bombe della Nato nella sua Belgrado. Quella situazione di precarietà mista a immediatezza, quella disperata necessità di finire il punto nelle condizioni più estreme sono diventate la chiave d’un carriera mitica, dai contorni magici. Che poi trova un’espiazione nel rituale di fine match del campione di gomma, col gesto di ringraziare il suo Sponsor, Lassù, e di donare il suo cuore a ciascuna delle quattro tribune del pubblico.
Nole I di Serbia ha indissolubilmente bisogno di questa misteriosa forza X che gli permette di scalare una marcia in più, in campo, diventando un semidio del sport, altrimenti torna inevitabilmente umanissimo come all’Olimpiade, agli US Open, alle ATP Finals.
Quale migliore situazione quindi per evocare i suoi super poteri nella delicatissima sfida dei quarti di coppa Davis contro il Kazakistan? Novak è solo più che mai, senza gli amici del cuore Troicki e Tipsarevic, in squadra – il primo ormai è seduto in panchina da capitano, l’altro twitta raggiante ed abbronzato da posti esotici con moglie e figliolanza – non ha nemmeno accanto una star del doppio, una certezza a livello assoluto. Si coccola come figliocci Dusan Lajovic e Filip Krajinovic, per il ruolo di secondo singolarista, ma già sa che, in doppio, sull’eventuale 1-1, cioé dopo il suo indispensabile e imprescindibile successo sul numero 1 avversario, dovrà molto probabilmente scendere ancora un campo al fianco dello specialista Nikola Cacic. Col quale però, ha appena perso un doppio delicatissimo contro la Germania, sia pure al tie-break del terzo set, costringendo la sua amatissima Serbia a un fortunoso ripescaggio fra le migliori seconde dei gironi eliminatori.
I kazaki sono temibili col numero 2, il 33enne veterano Mikail Kukushkin che, indoor, vale molto di più del numero 182 ATP della classifica, due anni fa era 39 e sbandiera una serie di scalpi non indifferente, soprattutto in coppa Davis.
Sono forti col numero 1, il geniale e imprevedibile Alexander Bublik, altro russo emigrato per interesse sotto un’altra bandiera, che si scontra contro Djokovic con lo scopo fondamentale di stancare il numero 1 del mondo ma con il sogno segreto di batterlo clamorosamente. Ne ha tutte le armi tecniche e fisiche, ed in più ha la freschezza e l’impudenza dei suoi 24 anni da mettere sul piatto della bilancia. Eppoi, comunque, sull’eventuale 1-1, il doppio kazako può schierare la coppia di vecchie volpi, Andrey Golubev (altro russo)-Aleksandr Nedoyesov (ucraino).
Le trappole sono molte per la Serbia che spera fortissimamente in una bella sorpresa nel primo singolare fra i numeri 2, che stravolgerebbe completamente i disegni della vigilia.
Ma l’ipotesi più verosimile è che ancora una volta il peso del confronto ricada sulle palle di Djokovic. Costretto come sempre ad essere il numero 1 in tutto, a cominciare dalla piccola Serbia che porta orgogliosamente in spalla, per continuare con la famiglia dov’è marito e padre modello, coi fratelli che lancia e sostiene in ogni attività (a cominciare dai tornei di Belgrado a cui deve forzatamente partecipare a scapito di preziose energie nel momento clou della stagione), coi genitori che ogni tanto parlano a vanvera mettendolo nei guai – oppure agiscono di concerto come nella recente minaccia di papà Srjan sulla probabile rinuncia agli Australian Open? -, con il ruolo di sindacalista Robin Hood anti-ATP, con la scalata al GOAT e ai 20 Slam-record di Federer & Nadal, con le tante posizioni controcorrente sui temi più disparati, da sede e formula delle ATP Finals e della Davis al Covid-19.
Le battaglie che deve combattere sono talmente tante che rischia di implodere: gli è già successo quando ha chiesto aiuto al guru di “pace e amore”, quando ha colpito inavvertitamente per la stizza una giudice di linea facendosi espellere agli US Open, quando ultimamente non è riuscito a sostenere più la pressione del Grande Slam ed è crollato a un passo dal traguardo, così come all’Olimpiade – due volte contro Zverev e contro la bestia nera Carreno Busta – e come anche alle ATP Finals alle quali ha voluto ostinatamente partecipare ma che ha perso ancora contro i giovani rampanti. Che, uniti, uno dietro l’altro sono diventati forse insostenibili per un atleta di 34 anni, con la sua carriera e le sue cicatrici.
Come reagirà oggi Nole a un ulteriore aggravio psico-fisico del suo già sollecitassimo io davanti alla partita che decide se il bicchiere nel 2021 è mezzo pieno o mezzo vuoto?
Non giudicate in base ai tre titoli Slam e alla corona di numero 1 del mondo con cui chiude i giochi per la sesta stagione, un campione affamato di successi come Djokovic vuole sempre di più e non si sazia mai. Peraltro, pensando proprio alla sua Serbia, che come un figlio viziato gli chiede sempre qualcosina di più, in questo 2021 che sta per concludersi, non è riuscito a fare grandissima la patria come avrebbe voluto: in fondo, non è entrato nella storia come l’uomo che ha chiuso il Grande Slam dopo la doppietta di Rod Laver, ha mancato – ancora – l’oro olimpico, non ha agganciato i 6 trionfi di Federer alle ATP Finals e quindi ora ha una grandissima occasione di chiedere col botto, firmando una seconda coppa Davis. Peraltro a Madrid, nella reggia del grande rivale, Rafa Nadal.
Che effetto faranno tutti questi pensieri nella testa e nel cuore del formidabile campione serbo all’incrocio contro la mina vagante Kazakistan?
Vincenzo Martucci (Testo e foto tratti da supertennis.tv)