Jimmy Connors ed Andy Murray sembrano lontani anni luce, tanto era arrogante e violento lo statunitense e tanto è “politically correct” e femminista il baronetto scozzese. In comune però i due ex numeri 1 del mondo e pluri campioni Slam hanno la passione, l’amore per il tennis, l’orgoglio, e la tenacia nel non voler perdere. Così, tutti e due, sul finire della carriera trascinano le folle, coinvolgendole totalmente nelle loro ultime partite, soprattutto negli Slam, dove tutto è all’eccesso, a cominciare dalla distanza lunga dei 5 set.
Jimbo fece impazzire New York agli US Open del’91 a quasi 39 anni, aveva vinto sì 5 volte il Major di casa (su tre superfici diverse), ma veniva da un 1990 con tre solo partite giocate, e perse, ed era scivolato addirittura al numero 936 del mondo, tanto da poter partecipare all’ultimo Slam della stagione solo consuma con una wild card.
Che sapeva di beneficienza, di compassione, di simpatia. Sappiamo tutti che invece diventò il protagonista del torneo ancor più del vincitore, Stefan Edberg, perché rimontò una partita quasi persa contro il fratellino di John McEnroe, Patrick, e poi contro Kriekstein, ancora al quinto set, superò anche Haarhuis e si arrese infine solo in semifinale alla freschezza di Jim Courier.
La favola di Murray si avvicina, almeno nelle premesse e nella reazione della gente a quella di Connors. Perché, anche lui in tabellone solo grazie alla wild card degli organizzatori in virtù dell’illustre passato, ha cominciato alla grande la rincorsa al tempo perduto aggiudicandosi i 5 set contro Basilashvili e bissando quindi il successo della settimana scorsa a Sydney, dove poi ha perso solo in finale contro Karatsev.
Così, a 34 anni, riapre alla grande il capitolo Australian Open che gli brucia e gli brucerà tutta la vita e si rilancia a dispetto dei tanti problemi alle anche. Perché ora ha un possibile scontro con il qualificato Daniel e poi si profila con tutta la sua arte sulla strada di Sinner, se Super-Jannik supererà la sua vecchia conoscenza Steve Johnson.
Andy ha giocato e perso ben 5 finali agli Australian Open: contro Federer nel 2010, Djokovic nel 2011, ancora Djokovic nel 2013, 2015 e 2016. Non vinceva una partita a Melbourne dal 2017 e, quand’aveva perso contro Bautista Agut nel primo turno 2019, aveva annunciato che in quela,m stagione avrebbe dato l’addio alle gare, non e la sentiva di rioperarsi e comunque non pensava mai di poter davvero tornare competitivo.
Invece, convinto forse dai colleghi che erano transitati per la medesima esperienza, motivato dal suo spirito indomabile, spinto forse anche dalla terribile mamma Judy, pian pianino ha ricominciato avara parlare di sè, ed oggi, grazie a questo successo proprio nel suo torneo più sfortunato festeggia il rientro virtuale fra i top 100.
Con l’età, Andy si commuove. Gli è successo a Sydney, gli risuccede a Melbourne, a caldo,. Al microfono in campo: “È fantastico. Sono stati tre, quattro anni difficili. Ho lavorato molto per tornare qui e ho giocato su questo campo molte volte e l’atmosfera è stata incredibile. Ho sempre avuto un supporto fantastico e questo è il campo su cui pensavo di aver potenzialmente giocato la mia ultima partita. Ma è bello essere tornato, vincendo una battaglia in cinque set come quella. Non potevo chiedere di più”. Che cosa chiede al suo torneo? Andy ha la saggezza dell’età e dell’esperienza specifica: “Mi piacerebbe avere andare ill più avanti possibile, è qualcosa che non ho avuto in uno degli Slam da quando sono tornato dall’infortunio ed è qualcosa che mi motiva. Ho giocato alcuni dei miei migliori tennis qui nel corso degli anni e mi sento a mio agio”.
Lo spelacchiato campione che la spunta in 3 ore 52 minuti, che si fa riprendere dal 4-1 al 4-4, e poi rischia ancora e quindi chiude per 6-4 costringendo il numero 23 del mondo a commettere l’errore numero 99. Tanti? Karatsev ha superato il suo primo ostacolo di Melbourne commettendone 107, sconvolgendo un altro caposaldo degli statistici in uno sport che diventa di giorno in giorno sempre più mentale.
E, se si parla di testa, Andy è un campione sin da ragazzo, aggiungendo poi negli annida che grazie al super coach Ivan Lendl, armi sempre nuove e migliori, dal dritto al servizio, alla propensione offensiva. E anche alla rabbia agonistica che prima teneva sotto la cenere e che, col tempo, ha tirato fuori. Diventando l’eroe brit che ha riaperto il libro degli Slam e di Wimbledon dell’Olimpiade ed è salito anche al numero 1 del mondo, intromettendosi nei trionfi dei fantastici tre, Federer, Nadsal e Djokovic. Eppure non s’accontenta ancora, indomabile ed affascinante, come Jimmy Connors.
*articolo ripreso da https://www.supertennis.tv/News/Eventi-internazionali/Murray-come-Connors-Australian-Open-commento-Martucci