I bambini di oggi hanno la settimana impegnata come fossero dei grandi manager, con la mamma o il papà nel ruolo del taxista che li scorrazza da un corso di Nuoto, al corso di Calcio oppure al corso di Minibasket. In questo “tourbillon” di attività i bambini non riescono a sviluppare un interesse reale per una disciplina sportiva, perché sono abituati a
“saltabeccare” da un contesto all’altro e pertanto, dopo il primo entusiasmo per le novità, finiscono per abbandonare dopo il primo anno di pratica.
I bambini devono all’inizio “giocare allo sport”; e poi potranno scegliere la disciplina sportiva che più piace e che meglio si addice a loro (“praticare lo sport”).
Nella “girandola” di figure adulte che interagiscono con i bambini (Genitori, Insegnanti, Istruttori, Educatori e Operatori Sportivi) è importante spiegare loro che per avere un minimo di risultato, non è sufficiente il talento personale, ma è invece necessaria una buona dose di sacrificio, la costanza nell’impegno e l’applicazione sistematica della propria volontà di impegnarsi per raggiungere l’obiettivo.
Prima di praticare uno sport bisogna giocare allo sport!
Allora assume una grande importanza un lavoro di concertazione sinergica tra Genitori, Insegnanti, Istruttori e Allenatori (corretta cultura sportiva). Non è facile, ma dopo tutto, ne va della salute e dell’avvenire motorio e sportivo di un bambino!
Vittoria e sconfitta: come gestirle?
La frase spesso ripetuta “l’importante non è vincere, ma partecipare”, fa torto alla verità, il desiderio di vincere, di ottenere un risultato soddisfacente appartiene come un elemento irrinunciabile alla pratica sportiva.
Ciò che deve essere escluso è l’antagonismo, l’agonismo deve essere vissuto non “contro l’altro”: a tutte le età occorre educare all’agonismo, al fair-play, alla vittoria e alla sconfitta. Praticare l’attività sportiva per i bambini deve essere piacere e divertimento, l’occasione per sviluppare capacità, conoscenze e competenze, per socializzare e per confrontarsi.
Sia che si vinca, sia se si perda, ma se si perde e ogni volta ci si migliora è come se si avesse vinto: questa è la filosofia da portare avanti!
Ma per poter fare questo, le Agenzie che ruotano attorno al mondo del bambino, devono essere convergenti:
– la Famiglia (i Genitori);
– la Scuola (gli Insegnanti);
– le Società Sportive (Istruttori, Allenatori e Dirigenti).
E gli sforzi devono essere diretti al bambino e……..invece ognuno va per la propria strada.
La famiglia pensa di avere il campione, la scuola si disinteressa dell’attività motoria e del gioco e le società sportive pensano alle “quote” e ai talenti. Un sano spirito di competizione è raccomandabile per aiutare a misurarsi con le proprie possibilità, ma quando l’esperienza sportiva, specie in età evolutiva, diventa un “dovere” da svolgere sempre ai massimi livelli, può provocare fenomeni di rifiuto e portare all’abbandono. E’ importante che il bambino non sia costretto ad ottenere per forza dei risultati, in quanto lo sport, pur con le sue regole, deve essere vissuto con serenità.
L’attività agonistica in età precoce va “maneggiata” con precauzione. Se negli anni ’70 si riteneva che lo sport agonistico giovanile fosse un fattore potenzialmente distruttivo dell’equilibrio psichico del bambino e dell’adolescente, le ricerche più recenti hanno comprovato che la causa degli eventuali disagi, non è la competizione in sé, ma il modo con cui,
spesso gli adulti, interpretano, pianificano e gestiscono l’attività agonistica dei giovanissimi.
Molto spesso chi collabora ad alimentare il clima di tensione, con incitamenti e aspettative che influiscono sulla psicologia dei giovani atleti sono i Genitori, gli Istruttori e gli Allenatori.
Lasciamo che i bambini giochino e si divertano, rispettiamo i loro ritmi di apprendimento: dobbiamo avere pazienza!
Non lavoriamo eccessivamente sulla tecnica, costruiamo una base motoria prima (educazione e sviluppo delle capacità motorie), non proponiamo esercizi analitici, niente schemi di gioco, puntiamo molto sulla creatività e sulla fantasia motoria dei nostri bambini e ragazzi. Loro quando giocano, fanno dell’agonismo sano, si confrontano, si divertono, si misurano, si rendono conto se sono bravi o meno.
Prepariamoli bene a successivi confronti, non solo nello sport, ma anche nella vita e non carichiamoli di eccessive aspettative. Un bambino che sta crescendo è molto sensibile al giudizio dell’adulto (Genitore, Insegnante, Istruttore) e la necessità di esprimersi sempre con prestazioni eccellenti, può diventare faticoso e controproducente, perché
non è detto che in ogni atleta si nasconda un campione.
Pertanto, per essere in grado di interagire con i giovanissimi, tutti gli Operatori Motori e Sportivi dovrebbero conoscere i problemi dell’età evolutiva e andare avanti con cautela, inoltre dovrebbero padroneggiare i meccanismi della psicologia dell’evoluzione, per strutturare l’attività a misura di bambino e ragazzo.
Se ciò sarà fatto, la competizione risulterà positiva e l’agonismo sano: situazione educativa molto importante e una occasione privilegiata per acquisire sicurezza e stima di sè stessi. Se tutto sarà esasperato, non si otterrà nulla, vi sarà l’abbandono e la perdita di fiducia in sé stessi. Lo sport non deve diventare una costrizione, vincere non è tutto, ma
perdere rompe!
Conclusioni
Non abbiamo bisogno solo di grandi campioni, abbiamo bisogno, per crescere, di Arbitri, di Istruttori, di Allenatori, di Dirigenti, di pubblico intelligente e tutto ciò si può ottenere senza esasperare la vittoria o disperarsi per la sconfitta: ci occorre una corretta cultura motoria e sportiva.
Tutto ciò è avvalorato dalle parole di Luis Enrique, allenatore della nazionale di calcio spagnola: “Sono stanco di vederti piangere se hai perso la partita, non so perché piangi, devi iniziare a gestire la sconfitta e a congratularti con il tuo avversario”.