Il Giro d’Italia è uno degli eventi clou del Paese. Si stima che il fatturato complessivo, che dipende da parecchie variabili, negli ultimi anni si sia attestato intorno ai 70 milioni di euro: tanto, ma sempre circa la metà del Tour de France.E in debito di immagine, non solo rispetto alla Grande Boucle. La corsa rosa èun grande volano del turismo che investe per gli arrivi e le partenze di tappa: quest’anno il gran finale è a Roma come nel 2018, quando il Campidoglio sborsò circa 400 mila euro. A cinque anni di distanza saranno certo di più, probabilmente mezzo milione. Poi gli sponsor e i diritti televisivi. Inutile dire che ognuno vuole guadagnare su questo evento epocale che “congela” i pomeriggi degli appassionati davanti alla televisione. Ma quanti sono i tifosi del ciclismo?
Quelli che guardano la tappa da casa, considerando gli spettatori sintonizzati da 192 Paesi, sono circa 700 milioni. Ma il dato riferito all’Italia riflette quello relativo all’interesse per altri sport che non siano il calcio. Nel 2018 e nel 2019 gli spettatori medi per tappa del Giro d’Italia in televisione erano stati circa 1,6 milioni. L’anno scorso il dato si è fermato a 1,3 milioni. Un calo del 19% che deve essere messo in relazione con un invecchiamento costante del pubblico: nel 2022 l’età mediaha toccato quota 67,3. Ai giovani, insomma, il ciclismo interessa sempre meno. I fan che si riversano sulle strade sono sempre tanti, circa 8 milioni sulle 21 tappe… Una vetrina comunque importante per le aziende che decidono di entrare nel mondo del Giro d’Italia, sfruttando la visibilità e investendo in qualità di sponsor. Ma in pericoloso declino, soprattutto se i campioni preferiscono partecipare al Tour e se ci si mette il maltempo.
Le televisioni che trasmettono le dirette, RaiSport ed Eurosport, ma soprattutto la Gazzetta che organizza il Giro, dettano la cadenza della comunicazione: quanto dicono i telecronisti o scrivono i cronisti o gli editorialisti è l’argomento del giorno e quello di cui si parla. E non c’è dubbio che chi si occupa di ciclismo e non solo della pura cronaca, conosce bene i problemi. Questo Giro è cominciato con gli elogi al giovane campione del mondo che ha deciso di confrontarsi con la corsa rosa, poi sulla noiosità di certe tappe in cui non è successo effettivamente niente di rilevante, quindi sulla questione Covid che ha convinto il “predestinato” RemcoEvenepoel al ritiro. In buona compagnia, comunque.
Rcs, editore della Gazzetta e organizzatore del Giro, si è trovato nell’occhio del ciclone di quanti investono, televisioni comprese. Poi il maltempo ha messo fuori combattimento Tao Geoghegan Hart, già vincitore nel 2020 e pretendente alla vittoria finale. I ciclisti, i professionisti veri protagonisti della Corsa, hanno pure provato a dire la loro, hanno manifestato un forte disagio per le condizioni meteorologiche, per i rischi di cadute e incidenti. Rcs ha accolto la protesta che ai più è sembrata fuori luogo. Ai tifosi piace il ciclismo “epico” che non è certo in linea con le esigenze del moderno ciclismo professionistico. Il Giro si corre in maggio, non in luglio come il Tour: ha sempre avuto le sue tappe da tregenda e i campioni hanno saputo venirne fuori. Le squadre più forti hanno saputo fare la differenza.
Non si può dire che il plotone, quest’anno, sia stato davvero decimato, benché di 176 iscritti ne siano rimasti in gara 132, ma è certo che di campioni-campioni, quelli per i quali gli appassionati corrono alla punzonatura o all’arrivo, quelli per cui si segnano le tappe cruciali sul calendario, non ce n’è. O ce n’è pochi. Addirittura, la gara nella gara è perdere la maglia per non portarne la responsabilità, per non far lavorare troppo la squadra.
Sui social si sono espressi tutti, a cominciare dagli ex campioni che hanno vissuto il bello e il brutto del Giro senza lamentarsi, per arrivare agli ex gregari che fanno confronti. Il ciclismo ci ha fatto una brutta figura, come ha detto qualcuno di questi? Forse. Un certo ciclismo “sindacalizzato”. Certe squadre che pensano troppo alla “stagione”. L’organizzazione Rcs che pensa a far quadrare i conti più che allo spettacolo, che non sa competere con il Tour. Ci hanno rimesso gli appassionati. Senz’altro. Sui social si sono espressi tutti criticando i loro beniamini in toto, come amanti traditi. E allora chissà che l’ultima settimana di Giro non ci regali un verdetto capace di ribaltare il mood di appassionati e addetti ai lavori: magari proprio l’inaspettato Bruno Armirail sarà capace di risvegliare Geraint Thomas, PrimožRogliče Joao Pedro Almeida. E il nostro Damiano Caruso ci farà sognare ancora come all’Alpe Motta nel 2021.
Di Massimo Vallini