“Sono più di 4 km che corri sotto l’acqua, sfidando passo dopo passo quel muro liquido, dài, fermati. Tutte le tue avversarie hanno finito, stai correndo contro nessuno, dài, fermati. Gli spettatori se ne sono andati quasi tutti, non devi farlo per forza, dài, fermati“.
“No, assolutamente no, non mi devo fermare, devo arrivare al traguardo“.
Bou Samnang ha solo 20 anni, ma le sue certezze sembrano granitiche. In una giornata di maggio funestata dalla pioggia torrenziale, impegnata nei 5000 metri ai Giochi del Sud-Est asiatico, si è trovata sola, ultima in una gara dove tutte le altre partecipanti avevano terminato la loro fatica. Una gara finita. Ha continuato sotto la tempesta, fino alla fine, onorando il suo paese, la Cambogia, e la sua passione per lo sport. Le sue immagini hanno fatto il giro del mondo, perché è arrivata ultima ma ha vinto. Bou è in ottima compagnia, da Franz Beckenbauer a Fiorenzo Magni, da Rafa Nadal a Niki Lauda. In un club esclusivo che mette insieme chiunque, famoso o anonimo, onori fino in fondo la passione per lo sport. Chi dimostra di reggere quel meraviglioso paradosso, una sorta di stoicismo gaudente che fonde la sofferenza del sacrificio con la gioia della passione, la fatica della rinuncia al piacere di esserci, indipendentemente dal risultato. Se sei lì, nel club, dai tutto per il tuo sport, per la tua passione. Il successo viene molto dopo, così come i guadagni.
I personaggi citati sopra non pensavano certo ai soldi, ma solo alla gioia del competere, dell’entrare nel club. A fondare questo circolo ci pensa Dorando Pietri, “famoso per non avere vinto” la maratona di Londra 2018, conclusa al primo posto ma con i giudici di gara che lo aiutano più volte a rialzarsi, causandone la squalifica. Il desiderio di concludere la gara nonostante la fatica devastante fu la chiave del successo di Pietri, a cui il padre di Sherlock Holmes, Arthur Conan Doyle, dedica importanti parole alla fine della corsa: “La grande impresa dell’italiano non potrà mai essere cancellata dagli archivi dello sport, qualunque possa essere la decisione dei giudici”.
Diversi anni dopo di lui, il 5 agosto 1984, la molto meno nota trentanovenne svizzera Gabriela Andersen Schiess arriva barcollando per tutto il rettilineo finale della maratona olimpica di Los Angeles, completamente disidratata dopo aver saltato l’ultimo punto di rifornimento. Lo stadio si ammutolisce in ansia per l’atleta, che si muove camminando in maniera totalmente sbilenca e innaturale, affiancata dai medici che le intimano di fermarsi. Dopo 7 minuti di atroci sofferenze taglia il traguardo e sviene subito dopo, scrivendo una delle pagini più belle e drammatiche delle olimpiadi moderne.
Franz Beckenbauer è entrato di diritto nel club degli stoici gaudenti il 17 giugno 1970, allo stadio Azteca di Città del Messico, in quell’indimenticabile Italia – Germania 4-3. Nel secondo tempo supplementare il Kaiser si procura una lussazione alla spalla destra e tutti pensano a un’inevitabile sostituzione. Non lui. Troppo bella quella festa del club per lasciarla in anticipo. Senza fare una piega, si fa fasciare e con la mano attaccata al petto continua la partita. Alla fine persa, una delusione atroce, ma che festa è stata quel match!
L’iscrizione al circolo di Fiorenzo Magni, il “terzo uomo” capace di trovare uno spazio che non c’era nell’epoca di Coppi e Bartali, risale al Giro d’Italia del 1856. Magni si rompe la clavicola cadendo a Volterra, ma ricoprendo il manubrio di gommapiuma tiene botta fino alla cronoscalata di San Luca, dove il dolore diventa talmente forte da impedirgli di stringere il manubrio. Che fare? È il Giro d’Italia, una corsa che non può essere abbandonata. La stretta sul manubrio viene superata con un accorgimento a metà tra l’artigianato meccanico dell’epoca e il senso di sacrificio di un monaco tibetano. Tagliando una camera d’aria e agganciandola al manubrio, Magni corre la tappa con l’altra estremità della camera d’aria fra i denti, facendo forza con questi sul manubrio. Non contento – verrebbe quasi da dire – il giorno dopo cade di nuovo fratturandosi l’omero. Sviene e viene trasportato in ambulanza, ma quando riprende conoscenza di lasciare la corsa non ne vuole sapere: scende dall’ambulanza e si lancia in discesa all’inseguimento del gruppo. Il Leone delle Fiandre chiude il Giro al secondo posto, con clavicola e omero fratturati: entra nel club a pieno diritto come socio onorario.
Non è invece ben chiaro quando entrò nel club quella forza della natura di Rafael Nadal, 22 volte campione Slam convivendo con ogni sorta d’infortunio. Scegliamo la domenica del 26 gennaio 2014 a Melbourne, il giorno della finale dell’Australian Open. Rafa si fa male alla schiena, serve non oltre i 140 km/h, ma ritirarsi neanche per sogno. Lo stoico gaudente di Manacor sta quasi per beffare Stan Wawrinka, sbalordito da quella smorfia di dolore che trasuda passione, prima di cedere allo svizzero il primo titolo dello Slam 2014.
Risale invece al 2000 l’ingresso nel club degli stoici gaudenti di Loris Capirossi. Ad Assen, una rovinosa caduta durante il warm-up gli procura una frattura alla mano sinistra. “Cosa sarà mai una mano rotta per un motociclista?”, si chiede il folletto bolognese, prima di correre e conquistare il terzo posto, per poi svenire dal dolore. Un prezzo equo per l'”emozione più forte della vita“, come la descrive lui stesso.
Un altro socio onorario rispondeva al nome di Niki Lauda, tornato incredibilmente alle corse a Monza il 12 settembre 1976, appena quarantadue giorni dopo il terribile incidente del Nurburgring, quando viene salvato dalle fiamme dall’eroico intervento di Arturo Merzario. A Monza, gli uomini Ferrari gli adattano il casco per contenere le perdite di sangue.
Questi e altri grandi uomini e donne hanno fatto o faranno parte di questo club ideale, autentico tributo romantico alla passione dello sport.