Autodromo Nazionale di Monza. L’asfalto è bollente. Il sole, nonostante sia ancora primo mattino, è già in temperatura come gli pneumatici di una monoposto dopo il giro di formazione. Gli spalti coperti offrono un po’ di requie dalla prima calura estiva a spettatori e appassionati. A cadenza quasi regolare l’iconico rettilineo finale del tracciato brianzolo pare trasformarsi nel set di “Fast & Furious”: Lamborghini, Ferrari, McLaren e autentici miraggi motoristici come la De Tomaso P72 e la Dallara Stradale IR8 sfrecciano tagliando il traguardo. Di Vin Diesel, però, nessuna traccia. La cornice, infatti, è quella della terza edizione del MiMo, il Milano Monza Motor Show, dove il sogno di mettersi al volante di una supercar e sfidare la parabolica “Alboreto” diventa una ruggente realtà.
Improvvisamente, d’un tratto, la pista si svuota. Sparuti gruppi di curiosi, fotografi e giornalisti sciamano tutti in un’unica direzione: paddock numero uno. Il cartello all’ingresso del box recita: Indy Autonomous Challange. Tre semplici parole che racchiudono il futuro dell’automobilismo in tutte le sue facce.
Dietro alla macchina organizzativa della IAC ci sono le firme dell’Indianapolis Motor Speedway e della società Energy Systems Network. Entrambe puntano a raccogliere il testimone dalle mani della DARPA Grand Challenge, la cui prima gara si è corsa nel 2004, ma spingendosi sempre più in alto a livello di condizioni da affrontare e, di conseguenza, limiti da valicare. Il progetto parte nel 2020, le idee, però, come ci ha spiegato Chiara Marino, responsabile stampa di TII Unimore, circolavano già da qualche anno. A maggio 2021 avviene la prima sfida totalmente virtuale tra i centri di ricerca provenienti da ogni latitudine. A ottobre poi si inizia a fare sul serio: si corre a Indianapolis. L’obiettivo sarebbe quello di portare due monoposto su strada in simultanea, dando vita così ad un «testa a testa», ma la maggior parte delle squadre non è pronta. E dunque ci si riaggiorna a gennaio, tra i neon di Las Vegas, dove si fa la Storia: va in scena la prima vera gara tra due auto a guida autonoma. A trionfare è il Politecnico di Milano.
Il paddock a Monza è trafficatissimo. Pneumatici, taniche, cavi e soprattutto monitor. Tanti monitor. A dividersi gli spazi ci sono sei squadre, di cui due italiane: la PoliMove del Politecnico di Milano, team che vanta il record di velocità in rettilineo (309,3 Km/h) e TII Unimore, frutto della sinergia tra l’Università di Modena e Reggio e il Technology Innovation Istitute degli Emirati Arabi Uniti. L’auto è identica per tutti. Una Dallara AV-21. “Una monoposto dal valore di 700mila dollari” – come ci raccontano lucidandola in modo maniacale i ragazzi di TII Unimore. Di fatto è come se fosse una competizione monomarca. Motori, gomme ed elettronica identica. Gli obiettivi sono totalmente differenti rispetto alla F1. Nessun interesse per questioni di sospensioni o di aerodinamica. Il bersaglio da centrare è lo sviluppo di intelligenze artificiali di guida autonoma da poter impiegare in futuro nell’automobilismo civile. A bordo trovano posto sei telecamere, due radar, 2 GPS, una centralina elettrica e sensori LiDAR, acronimo per Light Detection and Ranging o Laser Imaging Detection and Ranging, un congegno di telerilevamento che permette di determinare la distanza di un oggetto o di una superficie utilizzando un impulso laser. Tutto questo bendidio non fa però subito rima con perfezione. Gli aggiornamenti sono costanti e più gare si fanno maggiori saranno gli aggiustamenti e i progressi in direzione di affidabilità e stabilità nelle prestazioni.
Nell’abitacolo è come se sedesse un pilota virtuale che, dunque, ha come obiettivo ultimo quello di portare a termine una gara senza nessuna “interferenza” umana. I compiti a casa affidati a questo nocchiere 4.0 sono diversi. In primis, affinare la percezione: utilizzando i sensori deve essere in grado di orientarsi all’interno del circuito e poi individuare anche i possibili ostacoli e concorrenti. Anche la pianificazione vuole la sua parte e si dà il caso che questo aspetto sia uno dei più complessi: non solo occorre fornire un percorso al pilota virtuale, ma anche tararlo sulla velocità limite che il veicolo può raggiungere ed evitare di perdere il controllo della Indycar. A seguire c’è l’attuazione: se si è programmato di affrontare una chicane in un certo modo, il tutto si deve poi tradurre in comandi all’auto, che riuscirà così a percorrere la traiettoria prestabilita nel miglior modo possibile. Impossibile trascurare poi la mole di lavoro svolta dietro le quinte dagli algoritmi, che è come se vestissero i panni di tanti paffuti criceti, facendo girare instancabilmente tutta una serie di rotelline virtuali.
L’aspetto più affascinante, che la Indy Autonomous Challenge condivide con la Formula SAE, è l’essere formata da gruppi di ricerca composti da studenti, dottorandi e giovani ingegneri neolaureati. Ognuno con la sua esperienza e le sue aree di interesse: ingegneria informatica, robotica e di controllo. “Nel caso di TII Unimore” – ci spiega Micaela Verucchi, che di professione è come se facesse “l’istruttrice” dei sensori della monoposto – “siamo circa una settantina. La guida autonoma è forse il problema ingegneristico più interessante che c’è ultimamente. Richiede di studiare tutto lo spettro della tecnologia”.
Una gara come quella della Indy Autonomous Challenge non è solo uno show ad altissima attenzione mediatica. In un contesto come questo, il motorsport riabbraccia il suo scopo principale: spingere al limite tecnologie instabili in contesti controllabili. Ciò che si ricava si trasla in seguito nell’automobilismo di serie. “Sfruttando questi casi limite” – prosegue Micaela Verucchi – “riusciamo a esplorare meglio qual è il comportamento dei veicoli. Se siamo in grado di tenerle a quelle velocità, poi sarà più facile avere a che fare in contesti meno estremi”. L’azienda Hipert, spin-off del laboratorio di ricerca Hipert Lab dell’Università di Modena e Reggio fondato da professori e studenti dell’ateneo emiliano, sta facendo progressi su tantissimi fronti: dai catamarani a guida autonoma che sganciano robot subacquei in grado di esplorare le profondità marine fino a droni per la consegna su ruota in ambienti dinamici. Per chiunque provi ad entrare in questo mondo si profila una grossa scommessa, a cominciare dalla necessità di recuperare fondi che sfiorano il milione di euro.
La guida autonoma anche per i comuni cittadini privati è una realtà di là a venire. Nel momento in cui il tutto si materializzerà, è probabile che queste auto si moltiplicheranno in modo esponenziale, come è successo con i cellulari prima e gli smartphone poi. Occorre, però, venire a capo di quell’un per cento di problemi che riguarda la sicurezza. Per esempio, come si deve comportare il veicolo in ogni singolo caso limite. L’auto a guida autonoma può già circolare per le strade, ma nessuno, neanche chi può investire miliardi nel mondo della ricerca, è ancora riuscito a risolvere questi problemi. Intanto ci rimane l’orgoglio, da italiani, di poter fare affidamento su alcuni dei migliori ricercatori nel campo della guida autonoma. Sul prestigioso podio dell’Autodromo di Monza due gradini su tre si tingono con i colori del tricolore. Primo posto per i ragazzi del Politecnico e terza piazza per il team di Modena e Reggio. I ragazzi possono chiudono la cler del box soddisfatti.