Il suo primo Mondiale a soli 4 anni, da “abusiva”, nel 2005 a Shanghai. Il suo primo “regolamentare” nel 2023 a Durban, in Sud Africa. Gaia Monfardini, l’azzurra che è andata più avanti ai recenti Mondiali di tennistavolo, è figlia d’arte e lo sta dimostrando sempre di più. Così figlia d’arte che la sua prima “apparizione” sulla scena internazionale è insieme alla madre Tan Wenling, letteralmente, abbracciata a lei nella foto sul pass di atleta delle gare iridate a Shanghai. Mai accaduto prima, né dopo, concessione speciale degli organizzatori cinesi a una loro atleta naturalizzata italiana dopo il matrimonio con Alfio Monfardini e tornata in patria per tentare di battere le sue ex connazionali.
Tan Wenling ha onorato la maglia azzurra con tante vittorie, la più importante è l’oro a squadre negli Europei 2003, forse la più grande sorpresa, meritata, nella storia di questa manifestazione, insieme all’argento nel singolo in quegli stessi Europei e altre prestazioni di rilievo, come i quarti di finale della Coppa del Mondo individuale 2003, gli ori a squadre ai Giochi del Mediterraneo e tante altre medaglie. In occasione dei Mondiali 2005 di Shanghai, Tan Wenling spiegò il motivo di quell’accredito speciale: “Non ce la facevo a lasciarla in Italia. La portai con me, riuscii a fare quell’accredito particolare e la tenevo vicino al tavolo quando mi allenavo. Poi, in gara, la lasciavo ai miei parenti. Ricordo che le campionesse cinesi smettevano di allenarsi per coccolarsela”.
IN GIRO PER IL MONDO
Era inevitabile che Gaia seguisse la madre sulla stessa strada, avendo proprio lei come allenatrice e guida principale. Adesso, dopo le sue belle prove ai Mondiali di Durban, in cui è stata la migliore delle azzurre, causando una delle sorprese più grandi, la vittoria contro la più quotata tedesca Winter, e arrivando ai sedicesimi di finale (meglio della madre che era arrivata solo ai 32esimi nel 2005 e 2007), Gaia Monfardini può cominciare a fissare nuovi obbiettivi, cominciando comunque da quell’imprinting del 2005. “Il bello è che non ricordo quel viaggio ai Mondiali di Shanghai – dice Gaia –, ho solo la foto del pass. Il fatto è che mia madre mi portava quasi sempre con lei nelle gare e ho fatto così tanti viaggi sin da piccola, sia in Cina che in altre nazioni, che non riesco più a distinguerli. Quella foto, però, è davvero divertente e mi fa pensare a un periodo bello della mia infanzia”.
I suoi ricordi, in effetti, si sovrappongono ed è difficile distinguerli perché mamma Wenling era davvero un globetrotter in quel periodo: giocava nel club in Italia, a Castelgoffredo, oltre che in Nazionale in giro per il mondo, poi club in Germania, Coppa dei Campioni e tutte le manifestazioni per nazioni, un turbinio incredibile per la piccola Gaia, che però ha avuto il vantaggio di imparare più lingue, a cominciare da italiano e cinese, ma con un sistema particolare di apprendimento. “Mamma e papà mi raccontano che da piccola parlavo con le frasi composte a metà in italiano e metà in cinese. “Voglio” in italiano, “il latte” in cinese. E loro capivano insieme, perché mio padre non parlava cinese. Poi ho imparato il tedesco quando mamma giocava in Germania e infine anche l’inglese”.
MAMMA E MAESTRA
E naturalmente la scuola di tennistavolo, con professoressa di rango sua madre. “I miei primi ricordi: entravo in palestra con mio padre, mamma che faceva allenamento, correvo un po’ in giro. Poi mamma mi mette la racchetta in mano: “Prova, se ti piace”. E mi è piaciuto”.
Tan Wenling gioca con una gomma liscia e una puntinata, per un gioco misto che spezza il ritmo dell’avversario, ma che giocoforza ha limiti precisi. Le avevano insegnato così in Cina perché lì si creano giocatori “tipo” in modo da avere tutti gli stili, ma i ragazzi non possono scegliere. Lei, pur avendo ottenuto grandi risultati, sa che non è quello il gioco migliore e imposta Gaia con due gomme lisce, per un gioco tutto d’attacco, più completo tecnicamente. “Con la puntinata – spiega Gaia – puoi sorprendere l’avversaria e dargle fastidio, ma quando lei capisce come giocarci questa diventa un punto debole. All’inizio vinci facilmente, ma poi ti fermerai. Mamma è stata brava a impostarmi con le gomme lisce”.
IL BATTESIMO DEL SANGUE
I risultati arrivano subito, in un crescendo di sensazioni che le fanno capire di aver scelto la strada giusta. “Ho capito di poter diventare forte quando ho vinto il mio primo torneo, regionale categoria giovanissimi. Lì mi sono detta: posso continuare a giocare”.
Quella vittoria è un vero “battesimo del sangue”. Gaia mostra una cicatrice sulla mano. “Me la feci proprio dopo aver vinto quel torneo. Tornando a casa, in auto, ero così contenta che stringevo così tanto la coppa da finire col tagliarmi con uno dei suoi bordi affilati. Sentivo la mano bagnata e, nel buio dell’auto, non capivo perché. Poi, accesi la luce e vidi che era sangue. Il giorno dopo a scuola dissi che non potevo scrivere, una scusa, potevo, però un po’ faceva male”.
Comincia così il vero salto di qualità, con impegno massimo. “Mamma mi allenava anche a casa, non solo in palestra. Aveva comprato il tavolo, spostava i divani per metterlo in salotto. Quando frequentavo le scuole elementari, mi svegliavo alle 5 e mezzo, poi footing, poi mezzora di allenamento di servizi, poi andavo a scuola. Quando tornavo, allenamento, poi i compiti, poi a dormire. Mamma è cresciuta così, in Cina è normale, quindi per lei era normale che anch’io facessi così”.
Ha poi avuto anche altri allenatori, ma il punto di riferimento è sempre stata la madre. “Quando avevo qualche dubbio sulle indicazioni che mi davano gli altri tecnici, mamma rimetteva tutto a posto. Ed è sempre stata lei il mio modello di giocatrice, anche se con caratteristiche un po’ diverse. Non sono mai riuscita a vedere oltre mia madre, lei era il massimo in Italia e una delle più brave anche in campo internazionale, quindi non mi serviva cercare altri modelli fuori, ce l’avevo già davanti agli occhi. Ammiravo tanto la sua mentalità, e anche adesso è una delle cose più importanti. In generale, anche se non ho una giocatrice preferita fra quelle che sono le più forti del mondo, ammiro il modello asiatico-cinese, è il migliore”. Così come per il cibo. “Quello cinese al primo posto senza dubbio, poi quello italiano”.
Così, dopo 18 anni dalla prima esperienza “abusiva”, ecco il primo Mondiale “vero”. E pensare che a Durban nemmeno avrebbe dovuto giocare il singolo. “Ero qualificata solo nel doppio misto, perciò avevo il volo di ritorno prenotato prima della fine dei Mondiali. Poi, qualcuna ha disdetto la partecipazione e sono subentrata io. Così, ho fatto di tutto per dimostrare di meritare questa chance. E mi hanno spostato il volo alla fine dei Mondiali”.
LA STRADA VERSO LA FELICITA’
E lo ha fatto bene, con un gioco spettacolare, tutto d’attacco che ha suscitato tanti consensi. Non resta che pensare ai prossimi traguardi, ma anche su questo punto Gaia Monfardini ha una visione particolare. “Da un po’ di tempo ho cambiato mentalità, non voglio fissare obbiettivi da raggiungere, perché poi diventa una pressione. Voglio fare un passo alla volta ed essere felice col tennistavolo, perché voglio che stia con me tutta la vita, non voglio che diventi un lavoro pesante. Quando sono felice gioco benissimo, perciò sono andata bene a questi Mondiali, è un periodo che sono felice. Se arriverà la vittoria vorrà dire che me la sono meritata, che la felicità e la tranquillità mi hanno permesso di vincere”.
Gaia di nome e di fatto, mamma Wenling ci ha visto giusto quando l’ha chiamata così e quando ha deciso di insegnarle il tennistavolo.