Gli US Open sembrano il suo Slam. Ideali per esaltarne il gioco completo, la corsa, la capacità di sfruttare i rimbalzi sempre uguali stroncando l’avversario, sulla sua superficie preferita, nel caos elettrico della Grande Mela. Eppure, a guardare il fantastico primato di 23 Majors di Novak Djokovic, al primo posto nella bacheca da sogno, con 10 titoli, c’è un torneo sul duro, ma è a Melbourne, agli Australian Open, a quota 7 c’è l’erba di Wimbledon, a 3 la difficile terra rossa del Roland Garros e a pari merito, Flushing Meadows, comunque fanalino di coda nei tornei dell’immortalità. Tre trionfi appena, viene da dire trattandosi del fenomenale campione serbo, anche perché sono arrivati a fronte di ben 9 finali. Come spiegare questo ruolino di marcia negativo sempre commisurato alle ambizioni e alle abitudini di un campione così grande?
SCONFITTE
Il ko della finale 2007 contro Roger Federer ci sta: contro il padrone di casa, campione di 5 edizioni consecutive, all’apice della sua magnificenza, più esperto e abituato a quei match. Così come sono spiegabili gli altri passi falsi, contro gli altri Fab Four, soprattutto Rafa, che non è uno specialista del duro ma s’è talmente migliorato sulla superficie e contro il campione di gomma serbo ha vissuto la più intensa rivalità – fisica e mentale prima ancora che tecnica – al vertice del tennis, ma anche Murray, “il gemello” diverso che ha avuto qualche annata indimenticabile. Straordinaria fu del resto la prestazione di Stan Wawrinka, nella finale del 2016, e comunque “Stanimal“ è stato il più concreto antagonista-Slam dei fantastici 4, firmando con la sua straripante potenza tre super-prove diverse. Così come però è bene ricordare che, dal 2007 al 2016, in 10 edizioni del torneo, Djokovic ha raggiunto almeno le semifinali, aggiudicandosi 2 titoli e raggiungendo 5 altre volte la finale, dopo la rinuncia del 2017 per operarsi al gomito, dalla trionfale finale del 2018 contro Juan Martino del Potro, le sue apparizioni a New York sono state disastrose.
INCUBO GRANDE MELA
Nel quarto turno 2019, contro Wawrinka, quand’era sotto di due set e un break, Djokovic si ritirò per i problemi alla spalla sinistra, subissato di buuu di disapprovazione da parte dei 23.771 spettatori ufficiali dell’Arthur Ashe Stadium e del tennis tutto. Veniva da 4 trionfi negli ultimi 5 Slam, e 36 partite vinte delle ultime 37 nei Majors, a New York non aveva più perso prima dei quarti da quando giocava fra gli juniores, era ancora il favorito ma, dopo il quinto doppio fallo e tre errori di dritto, dopo mille smorfie e massaggi istantanei del fisioterapista a bordo campo, dopo pillolette e imprechi vari, alzò bandiera bianca. L’anno dopo, ancora sotto l’estrema pressione di chi sta riscrivendo la storia del tennis all’inseguimento dei record dei formidabili Federer e Nadal, ancora al quarto turno, contro la sua bestia nera, lo spagnolo Pablo Carreno Busta, perse la testa e, sul 5-6, fu clamorosamente espulso per aver colpito inavvertitamente una giudice di linea facendola cadere in terra dopo aver tirato una pallata di stizza. L’anno successivo, nel 2021, arrivò a New York stremato da una stagione durissima col sovrappiù dell’Olimpiade di Tokyo, finita male per il doppio ko: in semifinale contro Zverev e poi nella finale per la medaglia di bronzo contro il solito Carreno Busta. Aveva vinto tantissimo, aveva in tasca tre-quarti di Grande Slam, coi titoli di Melbourne, Parigi e Wimbledon, a Flushing Meadows non fu impeccabile, lasciò qualche set qua e là, due ancora contro Sasha Zverev dal pugno duro, ma si presentò comunque in finale da super-favorito per agganciare il Grande Slam di Rod Laver del lontanissimo 1969 e invece cadde clamorosamente, in soli tre set, all’ultimo ostacolo, contro Daniil Medvedev. Poi l’anno scorso s’è intestardito nella campagna No Vax e ha trovato la frontiera chiusa negli States, a New York come nei tornei Masters 1000 di Indian Wells e Miami.
RIECCOLO
Dall’ultimo titolo a New York del 2018, Novak ha firmato 4 Australian Open, 2 Roland Garros e 3 Wimbledon, diventando, con 23 urrà, il primatista Slam al maschile a una tacca dal record assoluto di Margaret Smith Court. E, dopo aver riscattato in parte la delusione della finale di Wimbledon persa contro Alcaraz con la straordinaria finale-rivincita di Cincinnati, sogna il poker a New York per riprendersi anche il numero 1 in classifica e ribadire ai giovani la sua superiorità. A dispetto dei 36 anni e della maledizione della Grande Mela.
Articolo apparso su Supertennis.tv