I primi morsi di Champions ci regalano lo squillo di un portiere. Ivan Provedel. Era il 95’, e fin lì il Cholismo la stava spuntando sul Sarrismo. Oggi, rete di Barrios; nel Novecento, secolo più serio, autorete di Kamada. Lazio uno, Atletico uno: giusto così. Provedel – che, per la cronaca, aveva evitato lo 0-2 immolandosi su Lino – ha segnato di testa, su morbido cross di Luis Alberto. Se il calcio è bello, lo è, soprattutto, per «colpi» del genere che sgorgano dal caos e non dalla lavagna, preziosa quando è bussola, deleteria quando diventa tiranna.
Cos’altro? L’occasione sciupata da Immobile (è un periodo avaro, passerà); il palo carambolato di Morata; il gioco che Griezmann, a 32 anni, continua a vedere e offrire; la foga dell’Aquila, i campanili e il palleggio dei materassai decimati (a centrocampo, in particolare). Resta il titolo: nascosto, per una volta, nella coda della coda. I portieri all’arrembaggio sono i soldati Ryan che, rovesciando la trama del film, vanno per salvare e non per essere salvati.
Zero a zero a San Siro, e solo una squadra in campo: il Milan. La «manita» del derby, zavorra letale, aveva spinto Pioli a mescolare le carte, ricavandone attacchi rabbiosi, alcuni sventati da Pope, troppi sprecati. Leao su tutti: il «daje de tacco» con cui si è mangiato un gol sul quale, in virtù della bellezza dello slalom, le edicole sarebbero campate per lustri, è puro romanzo. Ha il vizio, il talentuoso Rafa, di specchiarsi, ma non sempre il ritratto glielo scrive o descrive Oscar Wilde.
Poca roba, il Newcastle di Howe. Tornava in Champions dopo vent’anni: primo e unico tiro (e chissà, senza l’avvitamento di Sportiello) alla fine di una fine incerottata, esclusivamente, dalla mira degli avversari. Mi hanno «commosso» tre dettagli: il catenaccione delle gazze; la marcatura ad personam di Loftus-Cheek su Bruno Guimaraes; gli applausi del popolo a Tonali. Che anche per questo, forse, si è tenuto educatamente ai margini.