Il sedicesimo uomo, chi sarà mai costui? L’abbiamo chiesto ad un po’ di amici che seguono il rugby e ci hanno risposto “noi”. Noi sono loro, gli inarrestabili innamorati in questo caso della nazionale che anche nei momenti di maggiore sconforto, come dopo la recente batosta presa con gli All Blacks, sono già pronti a partire per Lione per sostenere gli Azzurri nella partita con la Francia. Un’altra missione impossibile alla quale è legata la qualificazione ai quarti dei Mondiali di Rugby 2023.
Ma torniamo al sedicesimo uomo, figura mitologica che appartiene solo al mondo del rugby, che riassume in uno solo i tanti che da bordo campo con il sole come con le intemperie non mancano mai di dare il loro sostegno. Come i giocatori, come l’arbitro anche loro sono indispensabili perché si giochi una partita. Fanno parte del pacchetto. E poiché in campo 15 sono i ruoli, a chi è fuori è stato assegnato metaforicamente il numero sedici.
E così il famoso sostegno, uno dei valori fondanti di questa disciplina sportiva, si estende fuori dall’area di gioco per poi subito ritornarvi come la risacca delle onde del mare, in un dai e vai continuo per 80 minuti, soprattutto quando la propria squadra sta perdendo. E’ lì che il sedicesimo uomo ha la possibilità di mostrare la sua passione e fare la differenza. Non è insolito quindi vedere persino bande improvvisate, sostenitori “mascherati” con abiti, cappelli, parrucche e soprattutto i colori delle loro squadre dipinte sui volti. Alcuni persino con strumenti musicali fino a costituire delle vere e proprie bande. Guardare le curve negli stadi di rugby è un altro spettacolo: quasi sempre si vedono sostenitori delle diverse tifoserie seduti gli uni di fianco agli altri, nel rispetto reciproco, uniti dall’amore per la ovale. Una sorta di anticipazione di quello che avverrà poi a fine partita, il Terzo Tempo.
Ecco perché spesso nel rugby vediamo a fine partita i giocatori ringraziare il “loro” sedicesimo uomo, così come è successo recentemente con Giulia Cavina che a Parma con il Giappone ha finalmente coronato il sogno di indossare il suo primo cap, un cap che sembrava sempre lì ad un passo, ma poi per qualche imprevisto o infortunio sembrava sempre scivolare via. Eppure con costanza e determinazione è riuscita a raggiungere la sua meta nonostante tutte le difficoltà incontrate: “Questo primo cap non è soltanto mio, è di un sacco di persone. E’ condiviso e quindi l’emozione è tanta, da parte mia, delle mie compagne, della mia famiglia, da parte dello staff che mi ha sostenuta sempre in questi sei anni di infortuni e di fatica per raggiungere questo cap tanto atteso e goduto”.
Più difficile uscire a ringraziare quando si perde, come è successo a Lione venerdì 29 settembre a Sebastian Negri, uscito per fare il giro del campo nonostante la pesante sconfitta subita con i neozelandesi, per poi fermarsi a salutare chi dall’Italia era venuto per sostenere lui e tutta la Nazionale in quella che si sapeva sarebbe stata una vera e propria battaglia. E il sedicesimo uomo non poteva mancare: 57.083 i biglietti staccati.
*foto di Stefano Delfrate