Quando giunse a Torino, Arthur Melo era un abile mediano. Il Barcellona aveva individuato nel brasiliano in maglia Gremio l’erede del leggendario Iniesta e l’aveva schierato più volte titolare nel corso di un’annata impreziosita dalla vittoria in Liga, anche se con l’onta dell’eliminazione contro il Liverpool in semifinale di Champions League, 4-0 per i Reds ad Anfield dopo il 3-0 blaugrana dell’andata al Camp Nou. Ciò che è successo dopo si può riassumere con una frase lapidaria: molte cose non sono andate nel verso giusto. Un Barcellona sempre più in crisi – economica, tecnica e anche identitaria – si vide costretto a cederlo alla Juventus in cambio del trentenne Pjanic. A Torino, il centrocampista verdeoro non riuscì ad ingranare, andando a corrente alternata e risultando spesso ectoplasmatico. Nemmeno l’avvicendamento in panchina tra Pirlo e Allegri riuscì a dargli la scossa. Al termine della stagione 2021-22, lo score del nativo di Goiania appariva dunque impietoso: appena 63 presenze in due anni e una sola rete, per altro viziata da una vistosa deviazione, in serie A.
Nel corso dell’estate 2022, il prestito al Liverpool veniva visto come lo scenario migliore possibile per tentare di non depauperare quello che era, in ogni caso, un asset di importanza capitale per la società bianconera, un calciatore ancora giovane che al gong della prima stagione in Catalogna veniva valutato da Transfermarkt 70 milioni di euro. Agli ordini di Klopp, la situazione, però, precipitò drammaticamente. Appena 13 minuti di gioco in una sola gara ufficiale della prima squadra. Era il 7 settembre 2022, il Napoli di Luciano Spalletti strapazzava per 4-1 i “reds” al Maradona. Arthur fece il suo ingresso al posto di Harvey Elliott. È l’ultima epifania del brasiliano con gli inglesi prima della sua eclissi totale, apparentemente irreversibile.
“The Athletic” ha provato a indagare sulle motivazioni della sparizione dell’ex juventino. In primis, la stessa operazione che aveva portato Arthur nella città dei Beatles non lasciava presagire nulla di buono. Un «prestito secco finalizzato per far fronte all’emergenza che aveva colpito il Liverpool: dopo che Alex Oxlade-Chamberlain, Curtis Jones, Thiago Alcántara e Naby Keita avevano manifestato dei problemi fisici, pure Jordan Henderson aveva subito un grave infortunio al tendine del ginocchio durante una gara col Newcastle. Così Klopp aveva bisogno di un centrocampista in più per il resto della stagione, o quantomeno per affrontare bene i primi mesi dell’anno». L’ex regista del Barcellona è stato fin da subito trattato alla stregua di un vero e proprio tappabuchi. Ciò si palesava anche dal fatto che i vertici “reds” smentirono a più riprese l’esistenza di una clausola per il riscatto definitivo del suo cartellino, clausola che invece la Juventus aveva inserito nel suo comunicato ufficiale e che, secondo l’allora ds bianconero Fabio Paratici, avrebbe dovuto aggirarsi intorno ai 33 milioni di euro.
L’altro grande tallone d’Achille del carioca fu la condizione atletica. Arthur atterrò sul pianeta Liverpool senza poter essere subito spendibile in campo. Infortunato al piede, secondo la ricostruzione di The Athletic, i primi allenamenti a Kirkby «hanno evidenziato subito un netto ritardo di condizione, e così Klopp e i componenti dello staff tecnico hanno stilato un programma individuale che avrebbe dovuto restituirgli una forma fisica accettabile». A quel punto, però, alcuni imprevisti resero più in salita questo percorso riabilitativo: la morte della Regina Elisabetta provocò il rinvio di alcune gare di Premier, poi venne il turno dello stop per le Nazionali e Arthur decise di aggregarsi all’Under 21 del Liverpool. Lo fece anche volentieri, però, all’inizio dell’autunno, l’infermeria del Liverpool prese a svuotarsi. E, per la legge di Murphy, fu proprio Arthur ad alzare bandiera bianca: il 3 ottobre un grave problema muscolare alla coscia sinistra lo costrinse ad andare sotto i ferri. Calò così il sipario sull’avventura in maglia “reds” del brasiliano.
La scorsa estate, Arthur ha scelto di percorrere in direzione contraria rispetto a tanti altri suoi colleghi l’autostrada A1, andando da Torino a Firenze. Un’operazione dal sapore di ultima chance. Sono bastate poche giornate per poter dire che la scommessa firmata Pradè-Commisso è stata quantomeno azzeccata: l’ex cervello blaugrana ha ritrovato continuità, sette partite su sette da inizio stagione di cui cinque scendendo in campo dal primo minuto. Quella macchina in grado di smistare il pallone in modo sempre chirurgico e intelligente ha ripreso a ingranare.
Stando a Sofascore, infatti, Arthur è il miglior giocatore dei cinque principali campionati europei per efficienza nei passaggi lunghi (91%); se la cava anche con gli appoggi corti (93%) e la sua visione di gioco ha dato il là a molte azioni da cui è scaturito un tiro (11) o addirittura una rete (2). Osservandolo in TV, il carioca sembra giocare con la Fiorentina da tempo immemore. Italiano, l’allenatore, l’ha schierato sia al fianco di Duncan che di Mandragora nel suo modulo proteiforme (un po’ 4-3-3 e un po’ 4-2-3-1), in cui l’highlander Bonaventura agisce da formidabile tassello tra i due sistemi.
Insomma, siamo di fronte a un’evidente rinascita. L’abc di Vincenzo Italiano, fatto di possesso e intensità, gli cade addosso in maniera perfetta, gli permette di esprimere al meglio le sue qualità. Firenze potrebbe incarnare un primo step per ritrovare le sensazioni e le giocate di un tempo non troppo lontano. Anche solo in parte. Sarebbe un grande successo per chi si era smarrito in una selva oscura.