Siamo stati a Parma, per la laurea ad honorem di Carlo Ancelotti. Più commosso di quando vince sul campo.
Ancelotti è dottore honoris causa in scienze e tecniche delle attività motorie preventive e adattate, all’università di Parma. Ha ricevuto il diploma all’auditorium Paganini gremito, davanti anche al suo maestro Arrigo Sacchi. E non ha trattenuto le lacrime quando il rettore Paolo Andrei lo ha proclamato dottore. “Qualcuno potrebbe dire che mi sono laureato avendo fatto pochi esami, in realtà ne ho fatti tanti e ne continuo a fare. Dirò ai miei giocatori che possono chiamarmi dottore”.
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Ancelotti ha ripercorso la sua lunga carriera, cominciata proprio a Parma, quando a 15 anni vi si trasferì dalla sua Reggiolo (Reggio Emilia) per giocare nella primavera crociata. Da lì una carriera costellata di innumerevoli successi, prima come calciatore, poi come allenatore.
“In un gruppo di lavoro – dice nella sua lectio magistralis – il leader deve avere la forza di delegare per responsabilizzare e motivare i suoi collaboratori, perché la forza di un gruppo è sempre più forte di quella di un individuo solo. Il mio è stato un viaggio lunghissimo, bello e appassionante, è una passione non ha mai rappresentato né un sacrificio né un lavoro, era così a 15 anni, è così oggi”.L’integralità del suo intervento
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E un condensato delle parole
“Fare l’allenatore significa avere rispetto, saper ascoltare, prendere decisioni, restare al passo con i tempi che cambiano. Cambiano le regole, l’intensità, la preparazione, la prevenzione, la professionalità oggi è superiore”.
“Il talento è genetica, molti allenatori danno tantissime informazioni su quanto fare con la palla, il talento si può solo gestire. Il campione mette il talento a servizio degli altri, il grande giocatore non lo fa per eccesso di egoismo. Egoismo contro altruismo. Il calcio non è individuale, è collettivo, concetto portato da Arrigo Sacchi, un marziano in un mondo che era un po’ indietro: ha innovato il gioco”.
“Fondamentale è la buona relazione fra le persone che compongono il gruppo, il rispetto per la persona. Quel che uno è, non quel che uno fa. Tu sei una persona. Se l’allenatore non distingue bene la persona dall’allenatore si creano problemi, servono cura e rispetto della persona. Se dal calciatore puoi avere il 100%, dalla persona puoi avere anche più del 100%”.
“Sono calmo, tranquillo e molto paziente, ma non so sia un pregio. Colleghi mi dicono che dovrei usare la frusta. Si mostra il carattere che si ha, piuttosto che usare la percussione uso la persuazione, questa frase me l’ha insegnata Arrigo”.
“Conta avere la forza di delegare. Chi si limita ad avere soldati da gestire, magari li avrà poco creativi. Conviene cambiare la propria opinione per il bene comune. La forza di un gruppo è sempre più forte della forza di un individuo solo”.
“Non compri la passione al mercato. E’ venuta così, giocando con gli amici all’oratorio. Grande, forte. Il calcio è lo sport dell’incertezza, dell’imprevedibilità. Non ha mai rappresentato un sacrificio nè un lavoro. Era così a 15 anni, è così oggi. Conta la passione per poter esprimere al meglio le tue capacità, se non hai passione non esprimi il 100%. E poi l’equilibrio. Nel calcio la squadra più debole può vincere tirando una volta sola in porta o per sbaglio. Questo mondo porta dalle stelle alle stalle”.
“Le emozioni positive sono vincere, essere apprezzato dal club. In negativo c’è la sconfitta, pesa, più da allenatore, da calciatore c’erano anche gli infortuni. E poi l’esonero: con l’esperienza, capisci che l’esonero è una parte del percorso. Ho gestito bene le vittorie e le sconfitte”.
“E poi c’è la mia famiglia, i figli Katia e Davide, Cloe (figlia di Mariann, la seconda moglie, ndr), il cognato. E i 5 nipoti. E ricordarmi che sono nonno. Non sono più quel ragazzino che è arrivato a Parma nel 1975”.
Ancelotti è l’unico allenatore nella storia del calcio ad avere vinto il titolo nei cinque principali campionati europei, con Milan, Chelsea, Paris Saint Germain, Bayern Monaco e Real Madrid e l’unico ad avere nel palmarès quattro Champions. “In un mondo come quello del calcio, spesso molto urlato e non di rado sopra le righe, ha scelto una strada tutta sua e tutta diversa – sottolinea il rettore Paolo Andrei – quella del lavoro fatto in silenzio e senza alzare la voce, sempre con i piedi per terra, del fair play. Questo ragazzo partito da Reggiolo ha vinto praticamente tutto ed è arrivato sul tetto del mondo. Ed è diventato un maestro”.
La laudatio è stata pronunciata anche da Marco Vitale, delegato del rettore per lo sport e presidente del comitato. Presenti in sala anche il preparatore atletico Vincenzo Pincolini e il tecnico del Parma Fabio Pecchia: “In quei due anni e mezzo passati alla Juve con Carlo ho imparato tanto. La gestione del gruppo”.
E Arrigo Sacchi. “Era un professore già prima di oggi, un professore di calcio dotato di grande intelligenza e umanità”.
E dalla prossima stagione Ancelotti allenerà il Brasile. Primo straniero dopo 60 anni.