Calato il sipario sul 2023, fra pochi giorni il tennis si rimette al lavoro pre prepararsi al 2024. Abbiamo intervistato Simone Vagnozzi, il primo allenatore di Jannik Sinner, cui si aggiunge l’australiano Darren Cahill.
Vagnozzi, ma davvero come dice il presidente FITP Angelo Binaghi domenica a Malaga Sinner non stava in piedi?
“Diciamo che gli piace dormire e aveva bisogno di recuperare dopo il doppio impegno consecutivo e l’ultimo sforzo contro Djokovic. Per fortuna si è potuto evitare un altro doppio, soprattuto contro la forte coppia australiana”.
Il fisico ha la priorità nei miglioramenti di Jannik?
“E’ migliorato già tanto ma possiamo fare ancora molto, nel recupero e nella resistenza, pensando ai 5 set e agli Slam. Ci mettiamo un bell’asterisco. E’ il primo anno che io e Umberto (Ferrara, preparatore atletico) facciamo con lui una vera preparazione invernale”.
Che miglioramenti tecno-tattici prevede?
“Soprattutto di consolidamento: aggiungeremo soprattutto dei dettagli. La base importante c’è, abbiamo lavorato anche durante l’anno”.
Come giudica il 2022 di Jannik?
“Molto continuo, in crescendo, è stato sotto livello solo a Roma e Parigi. Direi che è stato un caso. Perché a Montecarlo è andato bene e poteva vincere il torneo, a Barcellona ha avuto l’influenza, a Roma era in forma, e anche Parigi ha avuto un calo fisico e mentale. Che ci sta in una stagione”.
La terra è la sua superficie più debole?
“Può fare bene anche lì. Ma sicuramente le sue superfici sono quelle dure, sul cemento al coperto come all’aperto: lui che gioca così vicino alla righe, in anticipo, si trova meglio con quel rimbalzo di palla sempre uguale”.
Che dritto s’è costruito!
“Da quando sono subentrato, ci siamo occupati solo delle famose variazioni, ma poi, abbassando il baricentro, una volta che le fondamenta – le gambe – sono diventate più stabili e forti, in palestra, ha cominciato a colpire più bloccato e l’impatto con la palla è diventato sempre migliore: non gli scappa più e finisce bene il colpo”.
Che arma, lo slice di rovescio!
“Ha imparato ad affrontare questo colpo, evitando che insistano, come con Wawrinka e Fucsovics. Ora non è più in difficoltà a staccare la mano, non sarà mai uno come Evans, ma sa come e quando farlo. Col back cambia velocità alla palla, evitando quindi di far adattare l’avversario. Perciò mi è piaciuto come ha gestito contro De Minaur: ha usato una palla più lavorata e appena l’altro accorciava è entrato per fare il punto”.
Il servizio è diventato decisivo.
“Ho sempre pensato che quello che più gli si addiceva era il foot up, ma non potevamo aggiungere altre informazioni. Quando però, al Roland Garros, ha perso subito, ci abbiamo lavorato su e già a Wimbledon ha cominciato a servire più prime. Poi abbiamo aggiunto un piccolo movimento del piede sinistro, con l’anca entra un po’ di più ed abbiamo abbassato il lancio di palla: la colpisce appena scende e rende meno visibili le intenzioni. Persino Djokovic gli ha fatto i complimenti: non la leggeva”.
Tutto per l’attitudine offensiva.
“Certo, è fondamentale che vada a a rete a prendersi il punto: le volée le sbaglia ancora, ma la cosa positiva è che continui ad andarci”.
Massimo Sartori che l’ha portato da Riccardo Piatti a 13 anni, è stupito dalla sua capacità di apprendimento.
“E’ una spugna. Per un allenatore è un vantaggio enorme. Che allievo puoi avere di meglio se vuole sempre migliorare?”.
In chiave miglioramenti gli obiettivi del 2024 saranno Slam ed Olimpiade?
“Certo, sono la priorità. Dobbiamo stabilizzarci nel ranking, fra i primi 3/4 del mondo, arrivare alle semifinali Slam e in fondo ai Masters 1000. Con la continuità poi ci scappa anche la grande vittoria magari proprio all’Olimpiade. Non pensiamo al numero 1, ma attraverso il lavoro si può arrivare in cima. L’Olimpiade arriva in un momento congestionato della stagione e bisogna cambiare tre volte superficie in poco tempo: dall’erba di Wimbledon alla terra olimpica del Roland Garros, al cemento nordamericano, verso gli US Open”.
Ai Giochi avrà più responsabilità.
“Ha già fatto tanti passi avanti nella gestione dentro e fuori del campo, dal pubblico a Torino alla Davis: quando Djokovic in doppio ha cercato di caricarsi usando il pubblico, il punto dopo Jannik ha tirato fuori un urlo per far capire che anche lui si fa sentire. E anche quando sembra proprio stanco poi sorprende anche noi del team perché tira fuori energie extra, di nervi, come al Masters con Medvedev, quando ha giocato il miglior set. Non vuole morire mai”.
Quale programmazione farà nel 2024?
“Adesso vacanza, poi ci prepariamo in Spagna, quindi Australia – l’esibizione di Kooyong e il primo Slam -, poi i tornei indoor europei, Marsiglia e Rotterdam, quindi i 1000 sul cemento americano, Indian Wells e Miami, e la terra coi 1000: Montecarlo, Madrid e Roma, prima del Roland Garros”.
Da ex giocatore, quali sono state le chiavi di questo Rinascimento?
“I tanti tornei Challenger in Italia hanno permesso ai giocatori di finanziarsi. I premi aumentati gli hanno fatto pagare allenatori che prima non erano disposti a viaggiare per 30 settimane l’anno, con l’aggiunta del fisioterapista. La FITP ha aiutato congiungendosi ai coach privati e fornendo il know how. E poi, dalla semifinale di Cecchinato a Parigi, che all’epoca allenavo io, s’è innescata l’emulazione. Da Berrettini, si sono detti: “Se ci riesce lui perché non posso farlo anch’io?”.
Vincenzo Martucci (Tratto dal messaggero del 1 dicembre 2023)