Jannik Sinner aiuta il Rinascimento italiano anche distogliendo i riflettori dagli altri protagonisti. C’è un azzurro che nel 2023 è esploso più clamorosamente del Profeta dai capelli rossi: il coetaneo 22enne Matteo Arnaldi che, da gennaio, è passato da 134 a 44 del mondo, dai Challenger agli Slam. Il sanremese è già al National Tennis Center di Melbourne col maestro Alessandro Petrone e il team: si allena per gli Australian Open dal 14 gennaio.
Matteo, come mai questa scelta? “Sono qui dal 4 dicembre: ci sono tutti gli australiani, Kokkinakis, Bolt, Saville e Popyrin, c’è anche Coric. Eppoi, la mia ragazza, Mia, è di Melbourne: così ho un motivo in più per essere legato a questo posto straordinario”.
Quale tennista australiano frequenta di più? “Con “Kok” ho un bel rapporto anche perché le nostre ragazze sono amiche”.
E con Popyrin come va dopo che l’ha appena battuto nella finale di Davis? “Quella partita non l’ho più voluta rivedere: non mi sono piaciuto, ho giocato male, ma ho comunque trovato il modo di vincerla, dando tutto quello che avevo. Contro avversari come Pop mi trovo bene: picchiano forte ma non gli piace che giochi veloce e gli rimandi una palla di più e li sposti”.
Torniamo a Mia: amore a prima vista? “L’ho conosciuta due anni fa in Italia a un torneo, ha un anno meno di me, sta
finendo l’università (International Business): mi ha seguito in giro per l’Europa, non è stato facile, ora viviamo insieme”.
Con l’Australia, amore a prima vista?
“Ci sono venuto la prima volta nel 2019, da junior, e mi è subito piaciuta tanto, a cominciare dal fatto che a gennaio in
Italia è inverno e qui estate. Cielo enorme, tanta luce, grandi spazi, frutta buonissima, io adoro la semplicità di una passeggiata in spiaggia con Mia e gli amici, senza pensieri. Gli Australian Open sono l’Happy Slam e io qui sono davvero felice”.
Da ragazzo voleva diventare Phelps… “A 12 anni ho scelto fra nuoto e tennis: mi divertivo di più e c’era più gente, in acqua sei sempre da solo. In mare qui non ci nuoto, magari vado in piscina”.
Com’è la cultura australiana?
“E’ un mix fra inglesi e americani: gente semplice e diretta, mi sento a mio agio, a casa mia. Io sono uno che sta un
po’ sulle sue, diciamo pure un timido, finché non mi fido e mi lascio andare. E cucino la mia carbonara per tutti”.
Riservato come Berrettini, Sinner e Sonego
“E’ vero, di carattere siamo simili, tranquilli. Perciò ci siamo subito trovati in sintonia e abbiamo fatto gruppo, fuori, prima ancora che in campo. Sapevamo già che potevamo vincere, ce l’abbiamo fatta al mio primo anno di Davis, siamo giovani e per i prossimi anni possiamo far bene”.
Con Musetti come va? A Malaga vi siete scambiato il posto da singolarista.
“Ci conosciamo dai 10 anni, lui è di La Spezia io di Sanremo, siamo abbastanza amici… Tante partite da juniores, lui è venuto fuori prima, anche da pro, e come gioco mi può dare fastidio. Ci ho perso a Roma ma ero molto teso, avevo poche
esperienze sul Tour e a Baastad è stato un match serrato. In Davis avevo fatto poche partite, non pensavo di giocare,
poi mi sono sentito bene in allenamento, e il capitano mi ha inserito con l’Olanda. Ho perso mancando 3 match
point, avevo giocato tanto: il capitano ha messo “Muso”, poi ha rimesso me anche perché aveva un risentimento muscolare.
Nessun fastidio, è stato giusto così”.
Sin da piccolo sognava la Davis? “E’ un obiettivo che hai fin da quando cominci a giocare. Malaga è stata una settimana importante per me, per i compagni e per tutta l’Italia. Riuscirci con amici è stato ancor più bello”.
Voi campioni di Davis così esemplari.
“Speriamo proprio di portare sempre più ragazzi al tennis. Spero guardino come lavoriamo su noi stessi: due anni fa io
non ero dove sono ora, il lavoro paga sempre. E spero che soprattutto agli inizi il tennis costi sempre meno. E’ una scuola di vita anche per la persona: mi ha insegnato di me stesso cose che uno sport di squadra non mi avrebbe insegnato. Sei sempre solo tu che decidi e che fai, e costruisci il destino”.
Voi campioni di Davis: semplici, tranquilli, ma determinati e testardi.
“Abbastanza testardo. In partita devi eseguire cose che hai preparato, ma in certi momenti vai ad istinto: certe volte ho esagerato e ho perso, altre ho vinto perché l’ho fatto”.
Lei lavora con un mental coach?
“Per ora non ce l’ho, non ne avverto il bisogno: mi confronto con l’allenatore e il team. Tutte le cose vengono da se
stessi e le devo risolvere da solo. Io sono cresciuto più lentamente di altri e ho affinato altre caratteristiche
fisiche e soluzioni tattiche”.
Il tennis italiano era soprattutto terra rossa, ora è cemento.
“A Sanremo ho cominciato a giocare sul duro, il cemento outdoor è il mio campo”.
Quindi se chiude gli occhi che trofeo dello Slam sogna di alzare?
“Qualsiasi dell’ATP Tour, se penso a uno Slam… Più che Melbourne, penso a New York dove ho sempre giocato bene”.
Deve migliorare il servizio.
“Devo migliorare tutto, e se voglio raggiungere obiettivi più importanti lo devo fare giorno dopo giorno”.
Quali sono gli obiettivi del 2024?
“Partiremo con Brisbane e Adelaide, poi Australian Open, Messico, Indian Wells e Miami. Non ci poniamo obiettivi di
classifica, vogliamo consolidare il livello e giocare più partite possibile. Giocherò tornei nuovi, come in Messico,
e cercherò di salire di livello in quelli che prima giocavo nelle qualificazioni, come Indian Wells e Miami”.
Come giudica il 2023?
“Ho giocato abbastanza bene in Australia, ho vinto il Challenger di Tenerife, poi ho fatto le prime esperienze ATP, sono calato un pochettino, ho preso un virus a Doha, sono andato maluccio sul cemento e ho perso subito nel Challenger a casa mia a Sanremo. Diciamo che sono andato a scalare, sono cresciuto tanto, in tutto, e sono migliorato continuamente:
l’esperienza nella prima stagione ATP aiuta. La differenza non è il tennis: nei Challenger se sei uno dei primi 4 vai avanti, sul Tour, dal primo turno puoi perdere e vincere contro tutti”.
La svolta è stata a Madrid contro Ruud?
“No, la fiducia me l’ha data il primo successo ATP a Barcellona con Munar”.
Il punto di riferimento è Djokovic
“Sin da piccolo, come gioco e come gestione. Gli somiglio anche: parto dalla difesa ma il gioco si sta spostando sempre più in avanti, a rete. Eppoi anch’io sono molto elastico, faccio le spaccate per recuperare”.
Gli ha anche spedito un simpatico post social:
“Novak, sto venendo da te”. E Djokovic ha risposto: “Intanto, bisogna stare di fronte alla rete e non ai tabelloni. Poi possiamo parlarne”.
Altro che “Arnaldino”, il diminutivo che sembrava stopparlo verso il vertice. Matteo ha il sorrisetto luciferino di chi a Malaga insisteva con le smorzate fino ad essere minacciato fisicamente da capitan Volandri. Il sorrisetto di chi sa, e vuole andare lontano.
Vincenzo Martucci (Tratto dal messaggero del 11 dicembre 2023)
(foto di Marta Magni)