Di Antonio Juliano detto Totonno ricordo un gol al vecchio Comunale di Torino, la zebra di Nuccio Gauloise Parola contro il ciuccio di ‘o lione Vinicio. Una parabola arcuata, subdola, da vicolo più che da viale, che sorprese Zoff e innescò, a sua insaputa, i battiti di un «core ‘ngrato»: José Altafini. Era il 6 maggio 1975: finì 2-1, Juventus prima Napoli secondo.
Totonno, vezzeggiativo dialettale di Antonio, ci ha lasciato a 80 anni. E’ stato bandiera di Napoli e capitano del Napoli, come documentano le 505 partite e i 38 gol. Chiuse nella mia Bologna, sazio ma verticale, sempre. Ai ragazzi precoci e feroci di Instagram dico che era un regista, in senso classico, nella pancia di un calcio che la marcatura a uomo spremeva e scremava. Armonico e ormonico: nel corto e nel lungo. E il tiro, sant’Iddio: lo sentiva come un dovere, non come un fastidio. E occhio: nel suo acquario nuotavano i Mazzola e i Rivera. Ho reso l’idea?
Ha giocato molto e vinto poco (2 Coppe Italia). E’ stato campione d’Europa nel 1968, protagonista della semifinale con l’Urss e della prima finale con la Jugo. Ha raccolto spiccioli bellicosi da tre Mondiali: nel 1966, Mondino Fabbri gli risparmiò la fatal Corea preferendogli un Bulgarelli zoppo; nel 1970, Valcareggi lo sacrificò a Picchio De Sisti, salvo girargli una piccola mancia al posto di Bertini nella finalissima con il Brasile; nel 1974, «Uccio», ancora lui, lo bocciò a favore di Capello. Apriti cielo, in quel mese di «Azzurro tenebra» successe di tutto, la guerra tra clan, il vaffa di Chinaglia, Juliano sedotto e abbandonato.
Da dirigente è stato prezioso nell’avvento di Krol e fondamentale nell’operazione Maradona: se volete approfondire il tema, vi consiglio «Nel nome di Diego», libro scritto da Franco Esposito e Dario Torromeo. Da Napoli, le finte di Ferlaino. Da Barcellona, le trame di Juliano. Regista anche lì, soprattutto lì.
di Roberto Beccantini