È una sera come tante a Gotham City. La polizia tiene sotto controllo la situazione e appena avverte la presenza di balordi interviene prontamente. Il crimine rimane in città, ma da quando Joker ha appeso le scarpe al chiodo per sopraggiunti limiti di età, le forze dell’ordine ce la fanno da sole. Non hanno più bisogno di Lui, così l’alter ego Bruce Wayne passa le notti insonne, solo coi suoi ricordi, con la mente che prima o poi raggiunge inevitabile quella battuta ridicola sulla bocca di tutta Gotham City: “Batman è in pensione? No, troppo giovane. Allora starà mandando il suo Curriculum Vitae…”. Che città ingrata! E che nostalgia! Ma soprattutto che noia!
Difficile immaginarsi un eroe senza la sua nemesi cattiva, molte storie si ridurrebbero a inutili e noiose cronache locali, senza verve, senza pathos, senza… racconto. Lo sport, ossia l’Epica contemporanea che si nutre di miti ed eroi, ne uscirebbe a pezzi, con resoconti scialbi e poco più. Non stiamo però parlando di Rafa Nadal per Roger Federer, degli Springboks per i mitici All Blacks, della Fortitudo per la Virtus, dell’Inter per la Juve. Quelli sono avversari, a noi interessano i cattivi veri, quelli che li vedi un giorno grandi protagonisti e il giorno dopo maglie nere senza speranza. L’ultimo esempio è quello di Draymond Green, orco dell’NBA nei Golden State Warriors, fresco di squalifica a tempo indeterminato per ripetuti comportamenti antisportivi. Il classico campione caduto nella polvere, oggi additato da tutti come il più cattivo dei cattivi.
ROY KEANE
Cambiamo sport, passiamo al popolarissimo calcio, dove i voli dalle stelle alle stalle sono molto frequenti.
“Io ero un centrocampista, mica un terzino, che può passare un’intera carriera senza fare un solo tackle. O una di quelle mezzale furbette che non si fanno mai male. Io giocavo al centro del campo di battaglia…”.
Così parlò Roy Keane, nella sua autobiografia “Il secondo tempo” (scritta insieme all’autore Roddy Doyle), grande centrocampista e capitano di quel Manchester United che a fine anni Novanta vinse tutto quello che c’era da vincere, con campioni del calibro di Ryan Giggs, Andy Cole, Gary Neville e Peter Schmeichel. Al centro del campo di battaglia, in una visione epica ma per nulla cavalleresca del modo di intendere il calcio.
“VOLEVO FARGLI MALE”
Chiedere a Alf Inge Haaland, padre di Erling – la stella di oggi del Manchester City -, che nel ’97 con la maglia del Leeds United ebbe la sciagurata idea d’insultare l’irlandese dopo un tackle, intimandogli di rialzarsi e non piagnucolare. L’ex capitano dello United, in realtà a terra col crociato rotto, registrò tutto nella sua mente, bramando vendetta. L’occasione si presentò nel derby di Manchester del 2001. Quattro anni dopo, tanto per ribadire che le rivalse vanno servite fredde. Il centrocampista dei Red Devils aspettò tutta la partita e a cinque minuti dal novantesimo entrò durissimo, col piede a martello, sulla gamba del padre dell’attuale campione del City. Il risultato fu una gamba spezzata e 5 turni di squalifica. Sebbene lo stesso Haaland Senior smentì che quell’infortunio si fosse rivelato decisivo per la fine della carriera, rimane il fatto che le partite giocate successivamente, prima di appendere gli scarpini al chiodo, si contano sulle dita di una mano.
“Volevo entrare duro ed essere sicuro che lui se ne accorgesse. Volevo fargli male. No, non sono pentito, ma non volevo spaccargli una gamba”. Un’idea quasi da cavalleria rusticana di un codice di lealtà che Haaland aveva spezzato dando a Keane del simulatore. Un’offesa sulla quale l’irlandese non sarebbe mai passato sopra, ma consumata in maniera estremamente violenta. E meno male che non voleva rompergli la gamba… Questo e altri episodi controversi della carriera di Keane, costellata da 13 cartellini rossi, non ne hanno offuscato il brillante cammino, culminato da capitano del Manchester United campione di tutto nel ’98 (Premier League, Champions League e FA Cup).
PASQUALE BRUNO, O’ Animale
“Picchia per noi, Bruno picchia per noi” gli cantavano i tifosi del Torino. Non male come biglietto da visita. Il salentino Pasquale Bruno è stato il primo dei cattivi della Serie A, forse il più cattivo. Padre putativo dei Paolo Montero e dei Marco Materazzi, è stato il difensore più temuto tra la fine degli Anni 80 e l’inizio dei Novanta di Juventus, Torino, Como, Fiorentina, …. Quando entrava in campo si trasformava nell’animale, ringhiando su qualsiasi attaccante gli capitasse a tiro: “Fuori dal campo ero un tipo tranquillo, ma già nel tunnel degli spogliatoi mi partiva l’embolo. Mi sarebbe servito uno psichiatra, ero un caso grave”. Celebre la sua rivalità con Roby Baggio: “È stato il più grande calciatore italiano di sempre, ma mi soffriva e mi insultava. Più lo faceva, più lo menavo. Però che gol fece in un derby, con una finta mi mandò a rotolare in curva!” Significativo il tributo al più forte giocatore incontrato: “Maradona è stato il più forte del mondo. Lo menavi ma non cadeva mai, con quel baricentro basso che aveva. Se facevi spalla a spalla con lui, che era tostissimo, finivi a terra tu. Non lo abbatteva nemmeno Vierchowod, il più forte marcatore dell’epoca”.
MARCELO RIOS
Questi episodi succedono anche nel tennis, dove non esiste il contatto fisico. Il piccolo mancino cileno Marcelo Rios raggiunse clamorosamente nel marzo 1998 la vetta del ranking mondiale, pur non avendo mai vinto un torneo del Grande Slam. In grande difficoltà a giocare sull’erba, relegò i sacri prati di Wimbledon a terreno inadatto al tennis: “L’erba va bene solo per le mucche”. Non ancora pago di blasfemia verso il Tempio, criticava il dress-code del torneo: “A Wimbledon ti fanno vestire di bianco facendoti sembrare non so cosa”. Spesso riluttante a intrattenersi col pubblico, entrò a vita nel club dei cattivi quando al termine di un match un ragazzino gli chiese l’autografo e lui non si limitò a rifiutarglielo, gli ruppe addirittura la matita… Di recente se n’è uscito con dichiarazioni in linea col suo personaggio, a favore dei bad boys: “Federer e Djokovic non mi divertono, il tennis è noioso come il cricket, merita solo quando qualcuno fa show in campo, come Kyrgios o Fognini, gente che tu guardi aspettando che faccia casino”. Inimitabile
JEFF TARANGO
Rios non è stato un caso unico. Nel novembre ’92, Tarango è salito al n.42 del mondo di singolare e nell’ottobre ‘99 al n.10 di doppio, ha vinto due tornei di singolare a Tel Aviv e a Wellington e 14 in doppio, ma è ricordato soprattutto per l’alterco con l’arbitro Bruno Rebeuh a Wimbledon nel ’95. Contro il tedesco Mronz, dopo due decisioni dubbie contro zittì nervosamente il pubblico con un sonoro “Shut up!” (Chiudete la bocca), che gli costò un warning (un avvertimento da parte dell’arbitro) . Tarango, verde dalla rabbia, si lanciò in un j’accuse contro il giudice di sedia, il francese Rebeuh: “Sei l’arbitro più corrotto del circuito!”. E quello, davanti all’accusa plateale in mondovisione, rispose con un penalty point. Che causò una reazione imprevista e clamorosa dell’americano che abbandonò volontariamente il campo quand’era sotto nel punteggio sul 7-6 3-1. E, per non farsi mancare nulla, la moglie Benedicte aspettò l’arbitro e gli mollò un sonoro ceffone! In conferenza stampa, Tarango riversò fuoco sul giudice di sedia francese, ribadendone la corruzione e segnandone la carriera. L’ineffabile Jeff ha il privilegio di comparire in “Open”, il best seller sulla vita di Andre Agassi, come il ragazzino che gli rubò il primo match ufficiale chiamando fuori un rovescio vincente in una partita senza arbitri. La versione di Tarango è completamente diversa: “In quel match l’arbitro c’era eccome, Agassi si è inventato tutto per fare un sacco di soldi”.
Più cattivo di così!