I grandi campioni vogliono vincere sempre. Sul terreno di gioco hanno loro l’ultima parola. Fino all’ultima palla. O all’ultimo minuto. E quando il gioco si fa duro anche nella vita, vanno sempre all’attacco, di un destino che sconvolge e consuma, come quello funestato dalla malattia; un’avversaria feroce, che incombe minacciosa sull’esistenza di noi poveri mortali. Dal tennis, al calcio, alla pallacanestro sono tante le leggende dello sport che lottano o hanno lottato ogni giorno contro patologie devastanti. Riuscendo, ognuna in modo diverso, a mettere a segno il colpo di classe, anche quando, purtroppo, il male è troppo forte e prevale.
CHRIS E MARTINA, LA FORZA GENTILE
Chris Evert – che compirà domani 69 anni – e detentrice di ben 18 titoli dello Slam in singolare, ha annunciato di recente la recidiva di un tumore ovarico e, a causa delle sedute di chemioterapia, non potrà essere presente a Melbourne per ESPN durante il prossimo Australian Open. Un’altra dura battaglia per la dolce Chris che aveva già dovuto affrontare la malattia due anni fa, la stessa per cui era venuta a mancare la sorella Jeanne, all’età di 62 anni. Il messaggio di Evert è forte e chiaro: è fondamentale la prevenzione, con check up regolari per poter intervenire in tempo e affinché le cure siano ancora più efficaci. L’ex leggenda americana ha postato sui social una foto accanto all’eterna rivale e amica fraterna Martina Navratilova, che continua a supportarla e ad accompagnarla in questa nuova battaglia: “Ci siamo dentro insieme! Grazie per il cibo delizioso” scrive Chrissie a commento del toccante scatto.
Leggenda e guerriera della racchetta, anche Martina (18 Major) ha dovuto combattere contro un destino avverso, colpita negli ultimi tredici anni da un doppio tumore. Costretta ad affrontare una neoplasia al seno nel 2010, dall’anno scorso Navratilova ne era stata nuovamente colpita con un’ulteriore complicanza al collo. Lo scorso giugno, finalmente, un grande sospiro di sollievo con l’annuncio della guarigione definitiva dopo essersi sottoposta ad un trattamento di radioterapia. Particolarmente emozionante il suo discorso sul Centrale del Foro Italico, il giorno della finale maschile degli Internazionali BNL d’Italia, in occasione della consegna del premio “Racchetta d’oro” conferitole dalla FITP: “Ho trascorso un anno molto difficile, ma ora sto bene e ovviamente sono molto grata di essere qui. Il tennis mi ha regalato una vita fantastica, per la quale sono molto riconoscente; a mia volta ho sempre cercato di ricambiare quando giocavo e anche dopo il ritiro. Questo splendido sport è molto complicato e, per questo, è anche una scuola di vita, ti insegna la pazienza, la perseveranza, a continuare a lottare, ad essere giusti e umili“.
ZVEREV, LA DISCREZIONE DELLA PAZIENZA
Continua ad essere fiducioso Sascha Zverev. Nell’agosto del 2022, infatti, il 26enne tedesco, in occasione del lancio della sua “Alexander Zverev Foundation”, aveva comunicato di essere affetto dal diabete di tipo 1, spiegando poi successivamente di conviverci dall’età di tre anni. In un comunicato sulle sue pagine social, Sascha aveva espresso tutta l’emozione per la nascita di questo suo nuovo ed utilissimo impegno “che sostiene i bambini con il diabete di tipo 1 e aiuta le persone a prevenire il diabete di tipo 2 conducendo una vita sana e attiva. La nostra missione è fornire insulina e farmaci salvavita ai bambini nei paesi in via di sviluppo e a chi ne ha bisogno. Essendo io stesso un diabetico di tipo 1, intendo incoraggiare i bambini affetti da diabete a non abbandonare mai i propri sogni. “L’unico limite è quello che tu stesso ti poni”.
TATHIANA, CAPITANA CORAGGIOSA
Tathiana Garbin ha fatto di tutto per essere vicina alle sue ragazze e, alla fine, ce l’ha fatta ad essere sulla panchina azzurra all’ultimo atto della Billie Jean King Cup, lo scorso ottobre. Nella consueta conferenza stampa post-gara – vinta dalla squadra canadese – l’ex tennista veneta ha infatti rivelato di essersi dovuta sottoporre poco tempo prima ad un intervento a causa di un tumore raro. Una forza silenziosa, quella di “Tathi” ma che ha fatto rumore al momento giusto, per spronare non solo la propria squadra ma anche tutti i giovani e non alla prevenzione, alla fiducia verso i medici e la scienza e a non arrendersi mai. Poco tempo dopo, la capitana azzurra ha annunciato che avrebbe dovuto affrontare una nuova operazione, poi fortunatamente riuscita. Toccanti e carichi di emozione i messaggi per lei giunti da tutto il mondo del tennis, in primis quelli delle ragazze della squadra, Trevisan, Paolini, Bronzetti, Cocciaretto e Stefanini che si sono strette attorno a lei con affetto fraterno. Ma anche quelli da parte di Jannik Sinner, Filippo Volandri e tutto il team campione di Davis. Subito dopo il loro storico trionfo in Davis, il loro pensiero è stato per Tathiana.
Anche altre stelle dello sport non hanno mai voluto cedere ai limiti imposti dalla malattia. Sinisa Mihajlovic, Gianluca Vialli e Magic Johnson, solo per citarne alcuni, sono diventati esempi di coraggio, resilienza e umiltà anche fuori dal loro campo di gioco.
LA GRINTA DI SINISA E LA “PAURA” CORAGGIOSA DI VIALLI, NONOSTANTE TUTTO
Sinisa Mihajlovic, l’ex fuoriclasse della Lazio, Sampdoria e Milan (solo alcune delle squadre in cui ha brillato) e, alla fine, allenatore del Bologna, si è spento il 16 dicembre 2022 a causa di una leucemia mieloide acuta, una delle forme più aggressive di questo tipo di tumore. L’ex calaciatore è stato un grande esempio proprio per l’atteggiamento con cui fin da subito ha affrontato la malattia, da cui era affetto dal 2019. “Rispetto la malattia, la guarderò negli occhi e alla fine vincerò anche questa sfida. La affronterò nello stesso modo in cui voglio che i miei giocatori affrontino le partite, cioè aggredire per andare a segnare, non aspettare per vedere”. Cresciuto durante la guerra che ha travolto il suo paese, ha saputo, da vero “guerriero” affermare poi il proprio talento e diventare un gigante del calcio mondiale. Allo stesso modo in cui, successivamente è riuscito ad affrontare il male con grande coraggio e dignità. Così come è stato luminoso esempio di dignità e speranza il suo collega Gianluca Vialli. L’indimenticabile campione azzurro, colpito da un tumore al pancreas nel 2017, è venuto a mancare lo scorso gennaio, all’età di 58 anni. Vialli, negli ultimi tempi era stato costretto a sospendere tutti gli impegni con la nazionale italiana (era vice-allenatore di Mancini durante l’Euro 2020), per dedicarsi completamente alle cure necessarie. Nella malattia, Vialli ha fatto emergere tutta la sua umanità, esprimendo “la paura di morire” ma, allo stesso tempo, la volontà di “andare avanti, a testa bassa, senza mollare mai, con la speranza che un giorno questo ospite indesiderato si stanchi e mi lasci vivere in serenità ancora per molto tempo perché ci sono ancora tante cose che voglio fare”.
JOHNSON, “MAGIC” ANCHE NELLA NORMALITÀ CON L’HIV
Uno dei più grandi cestisti della storia, Earvin Magic Johnson, 62 anni, sconvolse il mondo 32 anni fa rivelando di essere affetto dall’HIV. L’astro dei Lakers di Los Angeles fu la prima stella dello sport mondiale a rivelare la propria sieropositività e, da allora e nel corso del tempo, grazie al suo messaggio di coraggio e speranza, la percezione di questa malattia subdola e, soprattutto, il modo di affrontarla, sono profondamente cambiati. La fiducia nel trattamento, e la forza di portarlo avanti nel tempo, hanno permesso a Johnson di perseguire ancora una carriera e un futuro luminosi. Nonostante il ritiro dalle gare dopo la scoperta del male, “Magic” è riuscito poco dopo a calcare di nuovo il rettangolo del basket, non solo come superstar in campo ma, successivamente, anche come dirigente dei Dodgers e dei Lakers. Dall’alto dei suoi 206 centimetri, il gigante buono del basket ha lanciato un messaggio di speranza e la necessità di abbattere i pregiudizi legati a questa malattia; ha tracciato la via per tutti i sieropositivi nel mondo, negli anni in cui confessare di essere affetti dal virus era ancora un tabù. Il sorriso e i grandi occhi schietti di Magic sono diventati il simbolo di una normalità possibile, perfino quando a sconvolgere la vita quotidiano è un male apparentemente “silenzioso” ma devastante, ancora poco conosciuto (allora) che, prima ancora che alla morte, rischiava di condannare alla discriminazione e alla solitudine.