Sbatti la nuova Italia in prima serata tv e guarda l’effetto che fa. Nessuno sport più dell’atletica si addice a studiare gli effetti della stratificazione etnica che tante discussioni suscita nella società italiana e il
risultato oggi lo abbiamo sotto gli occhi. AI Mondiali indoor di Glasgow l’Italia si è issata significativamente al terzo posto della classifica a punti (nettamente dietro agli Usa ma a un solo misero punticino dai padroni di casa britannici) e con quattro podi ha eguagliato il miglior bottino complessivo di medaglie nelle edizioni ufficiali della rassegna (ma a Siviglia ’91 c’era un argento in meno) anche se la mancanza di un oro di ha penalizzati nel medagliere.
Ma quando i neofiti dell’atletica (non capitano tutti i giorni tre serate in diretta su Rai 2 nel weekend su Rai 2) hanno scoperto che dietro ai cognomi di tre medagliati su quattro (Simonelli, Furlani e Dosso), per non parlare della delusa Iapichino, si “nascondevano” italiani di seconda generazione sono stati presi in contropiede. E lì la platea si è divisa. La maggioranza (soprattutto fra i giovani che a scuola ormai non fanno nessun tipo di distinzione) l’ha vista giustamente come una cosa “normale”, la solita minoranza di avvelenatori della cloaca social ha avuto da ridire sull’”italianità” della spedizione, provocando lo sdegno dello staff azzurro. Sembravano lontani i tempi dei Giochi del Mediterraneo del 2018 a Terragona quando fece quasi scalpore la medaglia d’oro di quattro azzurre “colorate” nella 4×400 (Chigbolu, Folorunso, Lukudo, Grenot) con Filippo Tortu che diceva “E allora? Io non mi ricordo nemmeno il colore della pelle dei miei compagni di squadra.
In effetti nelle rappresentative azzurre, che in tutte le discipline sono lo specchio fedele della società multietnica di oggi, più saggiamente non si discute sul colore della pelle ma sulla estrazione sportiva dei componenti della squadra. E allora è bello scoprire che dietro al successo della new wave dell’atletica (come l’ha definita il d.t. azzurro Antonio La Torre) – che ha addirittura rinnovato i quadri rispetto ai 5 ori olimpici di Tokyo (tutti assenti a Glasgow, compresi gli staffettisti) – c’è un semplicissimo fattore: il know-how tecnico italiano, che fa capo alla migliore scuola del mondo, si è sposato con le straordinarie motivazioni che hanno gli italiani di seconda generazione. Se escludiamo Leonardo Fabbri, bronzo nel peso, gli altri tre medagliati e anche molti altri fra gli 11 finalisti (battuto anche qui il record di 9 finalisti di Parigi ’85 e Siviglia ’91) hanno una storia simile. Mattia Furlani, 19 anni, argento nel lungo, è allenato da una madre di origini senegalesi (figlia di diplomatici) che vive in Italia dall’adolescenza e deve il cognome al papà ex azzurro dell’alto Marcello Furlani, con un fratello e una sorella che pratica la sua stessa disciplina ad alto livello. Lorenzo Simonelli, 21 anni, argento nei 60 hs, è nato a Dodoma da madre tanzaniana e deve il suo cognome al padre antropologo che lavorava in Africa.
Zaynab Dosso, 24 anni, bronzo nei 60 metri, è rimasta in Costa d’Avorio fino ai 9 anni ed è cresciuta in Emilia prima di trasferirsi a Roma alla corte dell’ex azzurro Giorgio Frinolli (figlio d’arte) che allena anche Simonelli. Leonardo Fabbri, 26 enne fiorentino che ha conquistato il bronzo del peso, alza di poco l’età media e l’estrazione geografica della squadra. Se guardiamo intorno ai podi guardiamo tanti altri italiani di seconda generazione. Zane Weir, classe 95, quarto nel peso è un sudafricano di origine friulana naturalizzato nel 2021 e allenato da Paolo Dal Soglio insieme a Fabbri.
Restiamo agli azzurri di Glasgow. Catalin Tecuceanu, classe ’99, è nato in Romania ma si è trasferito in provincia di Padova a 9 anni per seguire il padre arrivato in Italia nel 2002: dal marzo 2022 può rappresentare l’Italia ed è allenato dall’esperto Gianni Ghidini. Larissa Iapichino, settima nel lungo, non è altri che la figlia di Fiona May (inglese di origine giamaicana) ed è nata a Borgo San Lorenzo nel 2002 dal padre Gianni ex astista che ora le fa da allenatore (e si è separato dalla madre). Chituru Ali, classe 99, finalista ei 60 e nuova carta della 4×100, è nato a Como da madre nigeriana e padre ghanese. Ayo Folorunso, classe ’96, capitana azzurra subito eliminata nei 400 essendo specialista degli ostacoli bassi che non esistono a livello indoor, è nata in Nigeria dove il padre era geoologo minerario e si è trasferita in Emilia a 8 anni. Emmanuel Ihemeje, classe ’98, quinto nel triplo, è nato a Carrara da genitori nigeriani, è cresciuto in provincia di Bergamo e studia negli Usa.
E vogliamo parlare degli assenti dei Mondiali indoor su cui l’Italia punterà per l’Olimpiade di Parigi?
L’olimpionico dei 100 Marcell Jacobs, è nato negli Usa da papà texano ma cresciuto a Desenzano dalla mamma italiana; Faustino Desalu, frazionista della 4×100 olimpionica, è nato a Casalmaggiore da una famiglia di origine nigeriana; il maratoneta Yeman Crippa è stato adottato in Etiopia ed è cresciuto in provincia di Trento dal papà milanese che gli ha trasmesso il cognome. E soprattutto c’è il triplista Andy Diaz, ex cubano che sarà il grande favorito di Parigi dove potrà vestire per la prima volta la maglia azzurra ed è allenato dall’ex campione Fabrizio Donato. Per non parlare di Sofiia Yaremchuk, neoprimatista italiana di maratona e mezza maratona, che è nata in Ucraina ed è diventata italiana nel 2021.
Un elenco infinito che delinea, ai vertici dell’atletica azzurra, contorni multietnici destinati ad allargarsi sempre più man mano che cresceranno le nuove leve dove gli italiani di seconda e anche terza generazione sono la stragrande maggioranza. Fino a quando, guardando una prima serata tv, anche il pubblico medio non solo non farà distinzioni ma sarà orgoglioso di applaudire i fenomeni di questa integrazione che, per esempio, ha già sbancato il Festival di Sanremo. Questa è la nuova Italia, l’atletica è solo in vantaggio sui tempi.