Ascolta la nuova puntata del podcast “Azzurro Cenere”:
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Quando vedi un “angelo” giocare a calcio, non ti serve altro. Nemmeno partecipare a un Mondiale perché una folgorazione del genere riempie ogni desiderio più recondito. Questa è la sensazione che vive Dino da Costa quando a diciassette anni viene aggregato alla prima squadra del Botafogo dove incontra Manoel Francisco dos Santos, noto a tutti come Garrincha.
Un’“entità celeste” scesa in terra per insegnare calcio ai comuni mortali e lasciare a bocca aperta i compagni di squadra. “Dino”, come è noto in patria, diventa un suo grande amico tanto da costruire un terzetto magico insieme a Luis Vinicio. All’esordio nel campionato carioca il 14 giugno 1951 Da Costa segna una doppietta e pone le basi per un salto di qualità in Italia quattro anni dopo dove la Roma se lo accaparra al termine di una tournée.
L’amore per la “Magica” è forse ancor più forte di quello provato per Garrincha tanto da siglare 79 gol in 163 partite con una media di quasi una rete ogni due partite. Un record che non gli ha regalato un titolo da capocannoniere nella stagione 1956-57, una Coppa delle Fiere nel 1960-61 e un primato apprezzato dai tifosi giallorossi: i 13 gol realizzati alla Lazio.
Nonostante non sia mai arrivato uno scudetto, Da Costa è diventato un incubo per il portiere biancoceleste Bob Lovati realizzando 9 reti in campionato, 2 in Coppa Italia e una nel Trofeo Remo Zenobi a cui ne andrebbe aggiunta una considerata come autorete di Francesco Janich.
Questa prolificità attira l’interesse del commissario tecnico della Nazionale Alfredo Foni che nel gennaio 1958 lo chiama per la delicata sfida con l’Irlanda del Nord. La situazione è tutt’altro che favorevole: l’apporto di oriundi come Alfredo Ghiggia e Juan Alberto Schiaffino non sta dando i frutti sperati ed è quindi necessario convocare il calciatore nativo di Rio de Janeiro, ma divenuto italiano a tutti gli effetti dopo il matrimonio con Marisa Natale, attrice e controfigura di Gina Lollobrigida.
Nel girone di qualificazione ai Mondiali di Svezia 1958 l’Italia ha superato i britannici per 1-0 grazie a una bordata su punizione di Sergio Cervato per poi cadere vittime del Portogallo un mese dopo perdendo a Lisbona per 3-0. Il peggio arriva nell’amichevole contro la Jugoslavia persa per 6-1, a quel punto Foni rivoluziona la squadra e ottiene la rivincita sui lusitani infliggendo un netto 3-0 grazie a una doppietta di Guido Gratton e alla rete di Gino Pivatelli.
A quel punto basterebbe un punto con la tutt’altro che irresistibile Irlanda del Nord per volare ai Mondiali, ma l’impresa è più complicata di quanto appaia sulla carta. A mettersi di traverso ci pensano uno stadio più simile a un campo di patate, un tempo da lupi e un arbitro che, a causa della fitta nebbia che affligge la Gran Bretagna, non si presenta in tempo per la sfida.
Il 4 dicembre 1957 al “Windsor Park” si gioca comunque e va così in scena una delle “battaglie” che sono rimaste nella storia del calcio mondiale. L’Italia va in vantaggio per due volte con Ghiggia e Miguel Montuori, imbeccato alla perfezione da Schiaffino, ma il talento dei due uruguagi non basta per superare un’Irlanda solida e brava a rimontare con Wilbur Cush. Se in campo non mancano colpi proibiti, quanto accade al termine del triplice fischio ha dell’incredibile.
Nonostante il pareggio, l’Italia non è qualificata ai Mondiali perché, in assenza dell’arbitro ungherese István Zsolt, la sfida è considerata come una semplice amichevole. Una beffa per gli azzurri che si sarebbero rifiutati inizialmente di scendere in campo scatenando così l’ira dei tifosi locali che si scagliano violentemente contro i nostri giocatori, costretti a battere in ritirata dopo esser stati colpiti in campo dagli avversari, fuori dai supporters britannici. Chi ha la peggio è il roccioso difensore Rino Ferrario, pestato dalla folla nel momento in cui prova a rientrare negli spogliatoi.
Il clima è incandescente, gli azzurri vorrebbero almeno un cambio di località in vista dello spareggio per il Mondiale, ma non c’è niente da fare, si torna al Windsor Park e questa volta compare pure Da Costa, chiamato in extremis per sostituire il febbricitante Guido Gratton. Sul banco degli imputati del pubblico irlandese ci finisce proprio il calciatore della Roma, accusato di esser stato naturalizzato al volo per presentarsi in Irlanda e regalare all’Italia quel pass che stava diventando sempre più un incubo.
Gli sfidanti non sono gli “ultimi arrivati” come si pensa in Italia: ci sono Harry Gregg, portiere del Manchester United premiato pochi mesi dopo come miglior estremo difensore del torneo, il compagno di squadra Jackie Blanchflower, il centrocampista del Tottenham Danny Blanchflower e l’attccante Jimmy McIlroy, futuro campione d’Inghilterra con il Burnley.
Foni schiera un quartetto offensivo di tutto rispetto con Da Costa affiancato da Ghiggia, Schiaffino e Montuori, forse troppo per una squadra che si gioca il tutto per tutto in trasferta su un terreno al limite della praticabilità complice anche la folta presenza della nebbia. Una situazione ideale per strappare un pareggio, non per l’Italia che viene liquidata nella prima mezz’ora dai padroni di casa con Jimmy McIlroy al ‘13 e il solito Billy Cush al ‘28.
La sintesi della sfida fra l’Irlanda del Nord e l’Italia nel gennaio 1958
Inutile il gol della bandiera di Da Costa al ‘56 che sfrutta al meglio una papera di Gregg e prova più volte a trovare il pareggio senza fortuna. L’unica cosa che gli uomini riescono a rimediare è un’espulsione di Ghiggia al 68’, ingenuo a reagire di fronte ai colpi proibiti degli avversari, e la definitiva eliminazione dell’Italia dalla corsa per il Mondiale.
È il canto del cigno per Dino da Costa che non vestirà mai più la maglia azzurra e dovrà accontentarsi di quella giallorossa della Roma, per lo meno sino al 1960 quando finisce in prestito alla Fiorentina dove conquista una Coppa Italia e una Coppa delle Coppe. L’ottimo rapporto con il trofeo tricolore è confermato nel 1963 quando bissa il titolo con l’Atalanta dove era arrivato nel novembre 1961 al termine dell’ultima breve parentesi con la Roma. Per chiudere la carriera tenterà l’avventura alla Juventus dove segnerà soltanto dodici reti in settanta presenze conquistando la terza Coppa Italia della sua avventura italiana.
Il matrimonio con Marina Natale naufragherà, Da Costa sarà costretto a un finale di carriera sottotono fra Hellas Verona e Del Duca Ascoli prima di intraprendere la carriera da allenatore nelle categorie inferiori dove incrocerà nuovamente Garrincha, giunto in Italia per amore al seguito della consorte Elza Soares. L’ “angelo” brasiliano disputerà quattro partite con la maglia del Sacrofano in prima categoria dispensando spettacolo e facendo ricordare a Da Costa come non serva prendere parte a un Mondiale per esser soddisfatti. Basta incontrare un’“entità celeste” sulla propria strada.