Matteo Berrettini è risorto ancora. Una volta di più del più sfortunato dei tennisti professionisti, Juan Martin Del Potro, cui tanto somiglia per la potenza di servizio & dritto, per i modi gentili e per gli infortuni che l’hanno tanto danneggiato senza impedirgli acuti eclatanti, dopo lunghi, angosciosi, stop e ripartenze prodigiose. L’argentino ha dovuto gettare la spugna, il romano è tornato sei mesi dopo l’ultimo problema fisico, a metà marzo ha vinto il Challenger di Phoenix, ha perso subito a Miami e ieri al “250” di Marrakesch ha firmato il primo titolo ATP, 658 giorni dopo il Queen’s 2022, l’ottavo personale, il quarto su terra, battendo il campione uscente, Carballes Baena per 7-5 6-2. Rientrando dal numero 135 all’84 del mondo.
CUORE, TESTA E GAMBE
Anche col nuovo coach, lo spagnolo Francisco Roig al posto di Vincenzo Santopadre, Matteo che venerdì compie 28 anni, fa la differenza con le sue armi-base. Ma, rinfrancato dalla lunga sosta nel fisico e nel morale, vince anche di esperienza, di classe, di attesa, di smorzate, di freddezza. Così recupera subito il break dell’1-3 e non concede più nulla sul servizio. Così sprinta sul 5-5 con un drop shot al curaro e poi reagisce sullo 0-40 con la mitica prima di battuta, strappando il 7-5, fondamentale per la poca benzina che ha in serbatoio dopo il duro torneo e contro un pedalatore del rosso come lo spagnolo. Poi, quando salva altre 3 palle-break (alla fine 8/9), prende il sopravvento di testa sull’avversario e scappa via fino al 5-1 e al 6-2 decisivo. Poi non lascia più il microfono in campo: “Gli ultimi due anni non sono stati facili. Il mio corpo non mi permetteva di giocare, grazie a chi era qui e a chi era a casa, che ha reso possibile il mio rientro. Ringrazio anche la mia famiglia. Voi tifosi mi avete dato grande energia. So che tutti gli italiani mi hanno fatto un tifo pazzesco, qui e da casa. Mi siete stati davvero vicini”. E poi promette: “Questo è solo l’inizio”.
VIA CRUCIS
Matteo soffre da sempre alle caviglie. Nel 2019, dopo Wimbledon una distorsione in allenamento gli aveva negato Gastaad e Montreal. Ma poi agli US Open aveva toccato i primi quarti Slam, fermandosi solo in semifinale contro Nadal. Il 2020 cominciava male con la rinuncia alla ATP Cup per i problemi addominali che diventeranno il suo tallone d’Achille. Prima della pandemia Covid-19 saltava la terra rossa di Baires e nel 2021 era ancor più sfortunato: dopo aver giocato la prima storica finale azzurra a Wimbledon e poi i quarti agli US Open sempre contro Djokovic, riportava un italiano alle ATP Finals coi primi 8 del mondo, ma doveva ritirarsi già nel primo match contro Zverev con gli addominali stirati. Il 2022 sembra sorridergli: a Melbourne diventava il primo italiano ai quarti in tutti gli Slam, cedendo solo in semifinale a Nadal, portando il primo azzurro così lontano gli Australian Open e salendo al numero 6 del mondo-record.
ANNUS HORRIBILIS
Subito dopo, però, ad Acapulco, si fermava ancora per gli addominali e prima di Miami, si infortunava al mignolo della mano destra e doveva operarsi. Eppure, al rientro a giugno, si aggiudicava miracolosamente Stoccarda e il Queen’s sull’erba, e si candidava da primo favorito a Wimbledon. Ma, ahilui, doveva rinunciare ai Championships, colpito da Covid proprio alla vigilia. E ad ottobre a Napoli in finale contro Musetti pativa vistosamente un problema al piede sinistro chiudendo la stagione-no. Anche se il peggio doveva venire, nel 2023. Dopo il ko d’acchito al quinto set contro Murray agli Australian Open, prima lo fermava il polpaccio destro ad Acapulco, poi ancora gli addominali a Montecarlo, quindi, dopo il raggio di sole del quarto turno contro Alcaraz a Wimbledon, agli Us Open l’infortunio numero 11 in tre anni: la distorsione alla caviglia al secondo turno, sei mesi di stop e un milione di dubbi. Fino all’ultimo miracolo di ieri. Domani l’esordio a Montecarlo con Kecmanovic.
Le parole del fratello Jacopo
Jacopo Berrettini, dove ha assistito all’ultimo miracolo di suo fratello Matteo?
“A casa, davanti alla tv, diviso fisicamente ma unitissimo ai miei genitori che invece sono a Montecarlo”.
Ma come fa Matteo a risorgere ancora e ancora?
“E’ un insieme di cose. E’ un mix di valori tecnici, fisici e umani. La sua forza non è solo nel tennis ma tocca tanti aspetti. Altrimenti non potrebbe reagire così come fa sempre davanti a tutte le difficoltà che ha dovuto incontrare, superando continuamente la sofferenza e i dubbi”.
Matteo non è umano.
“Non è un uomo comune, è un campione e fa cose eccezionali. Anche noi in famiglia siamo sconcertati da questa sua capacità straordinaria che è un un insieme di resilienza e di reazione che rinnova più e più volte”.
Matteo si merita un aiutino dal destino.
“Sì, si merita ancora di più il successo dopo questi due anni di grandi difficoltà nei quali anche tante persone hanno perso la fiducia in lui. Ma Matteo ha resistito anche a questo e si è attaccato ancora di più al lavoro, all’amore per il tennis. E così adesso si è visto in campo quanto ha saputo reggere prima di tutto di fisico in match molto duri”.
Quanta energia ha accumulato nei 6 mesi di sosta?
“Tantissima, davvero, è uscito bene dal primo impegno, la finale di Phoenix che è un Challenger ma ha la partecipazione di un torneo vero. E’ stato un passaggio molto importante: ha sentito che fa quello per cui è nato, che in campo è veramente se stesso. Ne aveva proprio bisogno”.
Che cosa la sorprende di più di suo fratello?
“Come esce da questi momenti così lunghi e difficili per chiunque e poi è più rilassato e tranquillo”.
Questa di Marrakesch è la resurrezione più sorprendente di Matteo?
“Beh, anche quando due anni fa tornò e rivinse subito due tornei sull’erba uno dietro l’altro, Stoccarda e il Queen’s, era stato impressionante. Ma stavolta direi che è stata ancora più impegnativa. Sì, è la numero 1 delle sue rinascite”.
Quando ha avuto la certezza che avrebbe vinto questa finale?
“Quand’è andato 5-1. No, davvero. Nel tennis possono sempre succedere tante cose, è sempre molto pericoloso. Anche se il doppio break del 4-1 era stato importantissimo. Io pure gioco a tennis, so quant’è difficile in campo e poi si tratta di mio fratello, so quant’ha sofferto, in passato e di recente e le emozioni che ha fatto vivere sono state ancora una volta fortissime. Per cui ho temuto fino all’ultimo”.
Quando siete da soli, da fratello tennista a fratello tennista, non le chiede mai qual è il suo segreto?
“Qualche volta ne parliamo, anzi, glielo chiedo proprio, l’ho fatto più volte. Anche lui non sa spiegarlo esattamente. Sai che fa? Mi spara un sorriso, come quello che ha fatto a fine match. Un sorriso dolce, bello, alla Matteo”.
Vincenzo Martucci (testi tratto dal messaggero del 8 aprile 2024)