Il mestiere di papà, secondo Papa Bergoglio, s’impara da Dio, e impone come primo comandamento la pazienza. E questo fa capire da sé quant’è difficile e delicato. Figurarsi in uno sport così dipendente dai nervi e da una riga, un nastro, un “15”. Tanto da spingere un genio come Woody Allen a dedicargli un film sul tema dell’incertezza estrema dettata da una palla gialla bizzosa. Figurarsi quando un papà non è un papà vero, ma putativo, in prestito, di ruolo, come giudice di sedia, di un’età da vero padre dei virgulti che animano il tennis professionistico, peraltro della stessa nazionalità del protagonista. Succede a Miami, nel secondo Masters 1000 sul cemento nordamericano, dove ci sono in ballo tanti punti in classifica e dollari, in un caldo umido che arriva al cervello, aggravando la consueta pressione di una partita. Gastao Elias, 26enne portoghese, numero 89 del mondo, cerca inutilmente di arginare la rimonta dell’argentino Horacio Zeballos: vinto il primo set soltanto al tie-break, cede il 5-2 col doppio fallo, sente che gli manca sempre più il terreno sotto i piedi, avverte già il senso della sconfitta, che arriverà poi per 7-5 al terzo set e, al culmine della frustrazione, impregnato di tensione e di sudore, in quella sauna che è diventato il campo col 75% di umidità, tira con stizza una pallata in tribuna. Così, l’arbitro, il brasiliano, Carlos Bernardes, al cambio campo, lo richiama bonariamente, ma fermamente nella stessa lingua: “Se fai la stessa cosa che ha fatto quell’altro sfortunato (il canadese Shapovalov in Davis)… Non farlo. Non sei così, ti conosco. Non ne vale la pena”.
Carlos è il miglior arbitro del momento, il più rispettato dai tennisti, anche per aver punito più volte Rafa Nadal per i leggendari ritardi nella ripresa del gioco, subendo per un po’ l’esclusione dai match dallo spagnolo, come “arbitro non ben accetto”. Soprattutto, Carlos, che è fidanzato con una stimata giudice di linea italiana, conosce i giocatori, proprio come uomini, ed è sorpreso dal comportamento di Gastao. Ma, come tutti i padri bravi e comprensivi, invece di ricevere un grazie, riceve la risposta di qualsiasi figlio adolescente, ribelle, antipatico e anche qualcos’altro (omissis): “Sìììì? Ma tu ti sei mai sentito come mi sento io adesso?”. Che poi è la solita battutaccia con cui un professionista chiude più facilmente la bocca a giornalisti, parenti, amici, addetti ai lavori, insomma ai noiosissimi Grilli Parlanti che gli dicono sacrosante verità. Mai e poi mai il portoghese si aspetterebbe una risposta così pronta e sicura e sincera, che gli piomba addosso peraltro dall’alto, come una sentenza divina: “Sì, lo so, ho giocato più a lungo di te, e so come ti senti. Ma, andiamo, questo non sei tu”.
Lasciamo a Bernardes e ad Elias i successivi ragionamenti davanti a una bella birra ghiacciata. Ma che cosa sarebbe successo se in campo, invece di un ragazzo dolce come il portoghese, ci fosse stato un “bad boy” come Nick Kyrgios, già marchiato da due anni da richiami, reprimende e sospensioni come un classico bullo di una nostra qualsiasi scuola? E qui viene il bello. Perché quella birba di australiano, appena viene a conoscenza della notizia del giorno – Che novità è un giudice che si comporta in modo umano senza usare il pugno di ferro e incattivirsi col reprobo? – reagisce come un qualsiasi teenager, gridando come un’aquila su twitter all’indirizzo del giornalista yankee più tecnologico: “Multatelo. Non possiamo avere questi comportamenti sul Tour”. Il messaggio è sicuramente ironico e, in un mondo diverso, avrebbe meritato soltanto grasse risate. Invece Elias li risponde piccato: “Lascia decidere chi deve decidere, non penso che sei la persona giusta per farlo”. Aprendo il rubinetto del batti e ribatti sul web, fra quanti sottolineano il tono scherzoso del messaggio di Nick e quanti ne stigmatizzano i cattivi comportamenti passati. A cominciare del fattaccio con Wawrinka e la fidanzata, Donna Vekic.
Da genitori, non preoccupatevi: le stesse discussioni, le stesse prese di posizione, le stesse granitiche e discutibili chiusure o aperture, gli stessi drastici e ostionati schieramenti, caratterizzano le continue chat quotidiane dei nostri figli che professionisti del tennis non sono, ma stanno incollati al cellulare per ore e vivono i loro vent’anni. Crescono più avanti. Crescono perché magari ragionano sulle parole di un essere umano sincero che gli dice una parola inattesa. Come Bernardes. Come un papà.
VINCENZO MARTUCCI