Il copione di Milano in Europa è sempre lo stesso: viene travolta immediatamente, in pochi minuti, quando cioè nessuna scusa sulla stanchezza e le molte assenze per infortunio suona plausibile, poi abbozza rimonte contro avversari stregati dalla facilità della partita. Che, però, nel caso si metta male, in due azioni la chiudono a loro favore senza problemi.
E’ successo col Bamberg, arrivato a +21 già nel primo tempo, la Stella Rossa o il Maccabi, +15 e +14 addirittura nel primo quarto. Vero che l’EA7 non ha più nulla da chiedere, eliminata da tempo dai playoff. Ma, non fosse per la maglia, la faccia, Armani che li paga e il pubblico incredibile per pazienza e calore del Forum, l’Olimpia dovrebbe almeno provare a non chiudere la stagione continentale all’ultimo posto per un motivo più pratico: non entrare nella lista nera dell’Eurolega. Che, se arrivi ultimo per tre volte, ha la facoltà di escluderti dalla competizione. E’ uno dei target imposti alle squadre con una licenza di 10 anni come l’EA7: puoi finire male anche se manchi l’obbiettivo di minimo di 8000 spettatori di media (Milano è un filo sotto i 10 mila, ma erano 11.200 nelle prime 5 gare al Forum, sono diventati 9000 col crollo dei risultati) per due stagioni di fila, se finisci nella metà bassa della classifica del campionato nazionale di appartenenza, se non rispetti gli obiettivi di marketing e fairplay finanziario, se l’indotto televisivo non è ragionevolmente di livello adeguato. L’Olimpia di Giorgio Armani è già certamente una società al top in Europa in tutto, meno che nei risultati. E deve stare attenta.
Incitarla per evitare l’ultimo posto è evidentemente una provocazione. Ma solo per il fatto che è l’unica squadra italiana con dei parametri tecnici, finanziari e di impianto adeguati per ottenere un contratto con l’Eurolega. Sarebbe invece un errore sottovalutare e archiviare questa stagione deludente come una eccezione negativa, come possono fare il Barcellona o, con maggiore cautela, il Maccabi che comunque, tre anni, fa ha vinto il titolo continentale. A Milano potrebbe ricapitare ancora di arrivare ultima, l’eccezione è se va bene in Europa. Da quando, nel 2005, l’Olimpia è tornata in Eurolega stabilmente, ha prodotto una sola stagione vincente su 11 partecipazioni, la sola nella quale ha conquistato i playoff, nel 2014, contro il Maccabi poi campione. Il bilancio complessivo è di 66 vittorie e 113 sconfitte, pari al 37% di successi. E anche dal 2011 in poi, quando l’EA7 ha tentato di fare un salto di qualità con un mercato da Eurolega (Scariolo, Bourousis, Fotsis, Kleiza, Langford, Gentile, Jerrells e poi Hackett) le cose sono migliorate solo di un paio di punti percentuali. Quindi, a scanso di equivoci, meglio che Milano non arrivi ultima e non solo per la faccia. Anche se di fatto non dovrebbe rischiare niente.
Speriamo che i prossimi 10 anni europei dell’Olimpia siano migliori degli ultimi 10: di fatto, l’Italia ha consegnato al signor Armani il compito di rappresentarla al massimo livello europeo. Per sempre. Idealmente non mi piace che le nostre altre squadre non abbiano la possibilità partecipare all’Eurolega, sportivamente preferisco le formule degli anni passati. Ma è solo colpa nostra. Ci hanno avvertito nel 2008 che il campionato europeo avrebbe richiesto prerogative sempre più ambiziose ai club e ce ne siamo sbattuti. Oggi tra le principali antagoniste di Milano, solo Avellino e Sassari hanno i 5000 posti richiesti da una licenza annuale di Eurolega o, come si chiama oggi, da associated club. Reggio Emilia e Venezia possono arrangiarsi, spostandosi a Bologna e Treviso, ma è già una soluzione che fa scadere le eventuali candidature per una wild card. Poi, le squadre italiane non sono competitive: Sassari, nelle due stagioni di Eurolega disputate dal 2014 al 2016, ha avuto un bilancio di 1 vittoria e 19 sconfitte. Se calcoliamo le ultime 5 stagioni, il bilancio delle nostre squadre al netto di Milano è stato 9-45, il 20%. Non siamo competitivi come impianti, non siamo all’altezza come risultati e come qualità del nostro campionato, surclassato da Lega Adriatica, Vtb russa e Bundesliga tedesca ai quali sono assegnati i pochi posti annuali della massima competizione. In più, abbiamo fatto ritirare le nostre squadre dall’Eurocup dopo essere stati, negli anni precedenti, campioni mondiali di rinunce e fallimenti di squadre con licenze pluriennali. Non c’è un motivo al mondo perché l’Eurolega debba tenerci in vita ad alto livello, soprattutto perché tecnicamente non lo siamo più da quando Siena ha pagato i reati commessi, peraltro dopo averci regalato momenti di pallacanestro di qualità straordinaria e impensabile per quello che si vede in campo oggi.
Da appassionato, sono sbigottito per come, da troppi anni, il basket italiano lasci che le cose ineluttabilmente scivolino verso il basso senza fare assolutamente nulla. L’unico sforzo veemente è stato dare la colpa dei cattivi risultati ai budget imparagonabili a quelli del Cska o del Real Madrid (ma non si citano mai quelli della Stella Rossa, del Bamberg e di tutte le medie società che negli anni hanno ottenuto risultati nettamente superiori ai nostri), ai giocatori italiani che già giocano poco, come se fosse il numero e non la qualità degli stranieri a fare la differenza, alla crisi economica (solo in Italia?). Oggi la corsa per evitare l’ultimo posto in Europa della squadra che sta dominando il campionato italiano e la sola che parteciperà all’Eurolega nei prossimi anni, fotografa una situazione ormai compromessa. Senza impianti adeguati, senza obbiettivi di stabilità finanziaria e tecnica rigidi, senza una visione del futuro, siamo condannati nella banlieue del basket internazionale, e l’analisi non cambia se, come speriamo, Sassari e Venezia si qualificheranno alle Final Four della Champions Fiba, rimasta, seppur migliorata, la terza coppa europea. Come uscirne? Prima cosa, bisogna volerlo davvero. Un primo passo? Proviamo ad applicare al campionato italiano le regole richieste ad un associated club di Eurolega. Altrimenti, sempre di più, la pallacanestro italiana di alto livello sarà solo Milano. E siccome l’Olimpia è stata fantastica per gli obbiettivi raggiunti dalla società e dal pubblico ma in campo, in Europa, ha azzeccato solo una stagione su 11, sono guai. Per tutti.
LUCA CHIABOTTI