Vincere un oro olimpico è il sogno di ogni atleta che si rispetti, non per Enrico Porro il cui successo ha rappresentato soltanto una delle mille esperienze vissute in un’esistenza divisa fra il mare e il ring. Figlio di Luigi e Maria Maggi, proprietari di un ristorante in Porta Ticinese, Enrico si dimostra un bambino vivace, difficile da gestire tanto da diventare con la crescita rissoso e quasi violento.
Disperati per il suo atteggiamento, i genitori decidono di correggerlo e farlo imbarcare, ancora ragazzo, come un mozzo. Sulle navi però Enrico ci rimane ben poco a causa di quel carattere complicato che lo porta a scontrarsi con l’equipaggio e a rifugiarsi a Buenos Aires dal cugino tipografo restando per poco a causa delle incomprensioni di quest’ultimo.
Al rientro a Milano Enrico inizia a frequentare una palestra del rione nota con il nome de “el paviment de giass” per via della leggera patina che in inverno si creava sul pavimento a causa del freddo terribile. Lì si specializza nella lotta greco-romana dove guadagna subito grande fama riuscendo ad atterrare gente ben più grossa ed esperta forte del suo metro e mezzo d’altezza.
Dotato di un possente torace e di muscoli d’acciaio, Enrico partecipa a diciassette anni al suo primo torneo a Legnano vincendo e venendo definito da “La Gazzetta dello Sport” “il ragazzo che atterra gli uomini”. La sua forza non rientra nella potenza fisica, ma piuttosto nella scaltrezza e nella capacità di prendere in controtempo gli avversari tanto da prenderli e rovesciarli.
I suoi risultati gli consentirebbero di partecipare all’Olimpiade di Saint Louis nel 1904, tuttavia il servizio di leva gli impedisce di attraversare l’oceano e raggiungere gli Stati Uniti. In Marina l’addestramento dura cinque anni, periodo che Enrico trascorre sul cacciatorpediniere “Castelfidardo”. Nel frattempo prende comunque parte l’anno successivo ai Campionati Italiani dove si iscrive nei pesi leggeri anche se si trova a far i conti con atleti più pesanti anche di oltre dieci chili. Un handicap che Porro supera senza problemi tanto da aggiudicarsi il titolo a soli vent’anni.
L’anno dopo replica e addirittura arriva a conquistare anche il titolo europeo, un risultato che nel 1908 gli consente di ottenere la licenza dalla Marina e presentarsi così al via dell’Olimpiade di Londra. L’inizio è fortunato, Enrico passa il primo turno senza combattere, mentre al secondo incontra l’ungherese József Téger con il quale si allena ogni mattina e di cui conosce ogni dettaglio. Il magiaro trascorre l’intero incontro in attesa di una mossa dell’italiano, ma Enrico non cade nella trappola e vince.
Nel secondo incontro Porro affronta lo svedese Gustaf Malmström imponendosi nuovamente al termine di un match massacrante guadagnandosi le simpatie del pubblico inglese considerandolo un novello Davide. In semifinale arriva nuovamente una sfida con uno scandinavo, Axel Persson, dove l’azzurro deve far i conti con le decisioni avverse da parte degli arbitri. Nella foga della lotta il suo costume va in brandelli, cosa che gli era già successa nei precedenti incontri e, siccome i mezzi della federazione sono ridotti, si trova a non aver più divisa. Quindi un finlandese a prestargli il suo indumento permettendogli di scendere in pedana per la finale nonostante sia decisamente più grande.
La finale diventa un supplizio per Porro. Già il sorteggio non è favorevole per il milanese che si ritrova a indossare calze verdi quando tutti coloro che si sono imposti sino a quel momento hanno vestito un abbigliamento di colore rosso. Come da regolamento vanno disputate due riprese da quindici minuti al termine dei quali si va a un terzo round da venti minuti. Porro affronta con caparbietà il russo Nikolaj Orlov, ma i giudici non sono d’accordo sul potenziale dell’azzurro. Serve quindi anche l’ultima frazione per decretare una vittoria festeggiata con forza dal pubblico e celebrata dalla regina Alessandra di Danimarca, chiamata a consegnargli la medaglia d’oro.
Una volta rientrato in Italia, Ernico raggiunge La Spezia per assolvere le ultime settimane della ferma militare e all’arrivo in treno si trova davanti a sé una folla oceanica. Pensa che in città sia arrivato re Vittorio Emanuele III per una visita, invece il pubblico è lì tutto per lui. L’intuizione non è del tutto sbagliata perché in serata il sovrano arriva veramente tanto da prendere in contropiede il lottatore lombardo. Porro è a festeggiare in una balera quando lo prelevano e, in fretta e furia, lo vestono con la divisa d’ordinanza e lo conducono sul “Castelfidardo”. Lì incontra Sua Maestà che gli dona una medaglia d’oro “grossa come una michetta” lasciandosi scappare risatine compiaciute per l’impresa ottenuta da un uomo di piccola statura, proprio come il re.
Enrico continua a vincere, dovrebbe prendere parte all’Olimpiade di Stoccolma 1912, ma un incidente sul lavoro lo costringe a dare forfait. Continua ad allenarsi anche durante la Prima Guerra Mondiale tanto da partecipare al campionato militare internazionale nel 1920 vincendo il titolo nei pesi gallo all’età di trentacinque anni. Porro è ormai un mito della lotta greco-romana, motivo per cui la federazione lo costringe a partecipare ai Giochi di Anversa 1920 e Parigi 1924 senza però ottenere risultati complice l’età avanzata e le tecniche di lotta ormai cambiate.
Il campione decide quindi di ritirarsi diventando un allenatore molto apprezzato dai giovani grazie al carattere divenuto “guascone” che non gli impedisce di affrontare negli ultimi anni della sua vita un’atrofia muscolare che gli paralizza le braccia. Enrico Porro muore il 14 marzo 1967 all’età di 82 anni ricevendo l’omaggio dell’intera lotta italiana, per sempre legata al mito del piccolo “Davide” dello sport azzurro.