Stadi sempre più pieni e festosi e sport sempre più vitale dal punto di vista economico. Nel 2025 l’aumento medio annuo del numero di spettatori alle partite di calcio sarà salito del +8%. Un dato che registra un +37,7% entro il 2030, considerando le stime della Rome Business School presentate lo scorso 18 giugno da Francesco Baldi, Massimiliano Parco e Valerio Mancini. Un settore, quello sportivo, che in Italia vale 24 miliardi di euro ed è gestito per il 63% dalle amministrazioni comunali. Il 78% del PIL “sportivo” è costituito dal settore dei servizi, 19 mld di euro circa, seguono l’industria (12,7%) e il commercio (4,3%), con poco più di 1 mld di euro. Parlare di sport in Italia significa trattare, quindi, di uno dei motori della nostra economia: per la precisione l’1,8% del Pil nazionale.
Il calcio rimane, dunque, lo sport da cui provengono la maggior parte degli introiti economici nazionali, ma non è oro tutto quel che luccica: la media di affluenza per partita in Italia è del 78,3%, tra le più basse a livello continentale, indice dell’insoddisfazione dei tifosi per l’esperienza legata allo stadio. Il futuro delle infrastrutture italiane dovrà, dunque, essere nel segno di maggiori investimenti, anche in comparazione al resto d’Europa: a progetti realizzati, i 14 nuovi stadi di calcio porteranno 12 mila nuovi posti di lavoro. E non solo, secondo le stime attrarranno +3,3 milioni di spettatori, con conseguente aumento dei ricavi da stadio per oltre 200 milioni complessivi; burocrazia permettendo, ovviamente.
“L’invecchiamento delle strutture e la mancanza di modernizzazione non permettono di diversificare e aumentare l’incasso del sistema sportivo. Anche se sono in corso di realizzazione diversi impianti, serve un piano più strutturato che metta al centro lo spettatore e le sue nuove necessità, ravvivando l’esperienza del match day e curando il business potenziale dato ad esempio da spazi commerciali, hospitality di lusso, oggettistica e gadget, attività di gaming e entertainment”, afferma Valerio Mancini, tra gli autori dello studio.
Gli impianti sportivi in Italia sono 77.000. La stragrande maggioranza è di proprietà delle amministrazioni comunali, che gestiscono circa il 63% di essi. Il restante 31% è gestito da privati, galassia eterogenea fatta di istituzioni religiose (10%), società sportive (4%) e altri soggetti (17%). L’Emilia-Romagna è la regione con la maggior presenza di impianti sportivi (12,7%), seguita dalla Lombardia (12,3%) e dal Veneto (12,1%), Valle d’Aosta, Basilicata e Molise fanalini di coda (0.5%). Non deve quindi stupire più di tanto il fatto che nella prossima edizione del campionato di Serie A l’intero Centro Sud sarà rappresentato da sole cinque squadre (Roma, Lazio, Napoli, Lecce e Cagliari), lo stesso numero di formazioni lombarde (Atalanta, Como, Inter, Milan e Monza) che militeranno nella massima serie 2024/25.
Il calcio italiano non vede l’organizzazione di un grande torneo internazionale da Italia ‘90 e in vista degli Europei 2032 si è mostrato in tutte le sue contraddizioni, accettando la candidatura congiunta con la Turchia. Un’accoppiata che definire peculiare è un eufemismo. La maggior parte degli stadi in Italia, ad eccezione di poche realtà positive, come l’Allianz Stadium di Torino, il Mapei Stadium di Reggio Emilia, l’ex Dacia Arena di Udine, il Gewiss Stadium di Bergamo e lo Stirpe di Frosinone, sono ormai da tempo obsolescenti, bisognosi di significative ristrutturazioni per soddisfare non solo gli standard contemporanei di comfort e sicurezza, ma anche per aumentare la qualità dell’esperienza di chi fruisce del prodotto da casa, con ampi benefici specialmente lato diritti televisivi. La combinazione dei diritti televisivi e dei ricavi dalla vendita dei biglietti rappresenta, infatti, il 62,6% del reddito di ciascuna squadra, dimostrando la dipendenza che ha il settore in questa fonte di reddito. Secondo le Norme sull’Infrastruttura degli Stadi UEFA, è possibile identificare il livello di un impianto attraverso un punteggio che va da un minimo di 1 a un massimo di 4 e l’Italia, in questo ambito, ha meno stadi nella massima categoria UEFA rispetto a Spagna, Francia o Germania.
Questa differenza è principalmente data da un diverso approccio alla modernizzazione delle infrastrutture sportive: in Spagna, maggiore è la collaborazione tra club di calcio e autorità municipali, che vedono questi progetti come un’opportunità per stimolare l’economia locale. Un clima totalmente differente rispetto a quello che da anni si respira per le vie di Milano o di Roma. I club spagnoli inoltre, come l’Atletico Madrid o il Barcellona, combinano efficacemente risorse proprie con prestiti bancari, sponsorizzazioni e accordi di denominazione, semplificando il processo di finanziamento. In Francia, eventi internazionali come Euro 2016 e la Coppa del Mondo femminile del 2019 hanno incentivato la modernizzazione delle infrastrutture sportive, posizionando il paese tra i leader in Europa per costruzione e rinnovo di stadi. La Germania, invece, si distingue per il suo modello di finanziamento basato su contratti di denominazione con grandi marchi, leva per creare e mantenere gli stadi moderni e funzionali, a cui ora è stata meritatamente regalata una giusta passerella nel corso di questi Europei.
Rimanendo sempre in Germania, dopo il Covid, la Bundes ha rapidamente recuperato, raggiungendo una media di affluenza del 96% per ogni partita della massima serie tedesca stando ai dati offerti da Transfermarkt. L’Italia, invece, è rimasta indietro. Gli stadi italiani sono in media più vecchi (62 anni in Serie A) e i club incontrano una maggiore difficoltà nell’accedere a finanziamenti, “spesso ostacolati dalla burocrazia legata alla conservazione del patrimonio storico”, afferma Valerio Mancini, con riferimento al vincolo sul secondo anello del Meazza o alla scala elicoidale dello stadio Artemio Franchi progettata da Pier Luigi Nervi.
In termini economici, la ristrutturazione degli stadi rappresenta un investimento considerevole ma anche una significativa opportunità. L’Italia, con la sua grande passione per il calcio e la forte partecipazione delle sue squadre alle competizioni europee, ha un enorme potenziale per capitalizzare queste opportunità.
“Migliorare le infrastrutture non solo aumenterebbe il comfort e la sicurezza per i tifosi, ma posizionerebbe meglio le squadre italiane nel mercato globale, attirando più eventi internazionali e promuovendo una crescita economica sostenibile nel settore sportivo”, afferma Massimiliano Parco.
Gli impianti moderni attraggono sponsor di alto profilo. Le aziende sono disposte a investire di più in strutture che offrono visibilità e opportunità di marketing superiori. Gli stadi rinnovati spesso dispongono di spazi commerciali, hospitality di lusso, e altre opportunità di branding che sono molto appetibili per i potenziali sponsor. Un altro aspetto cruciale è l’uso dei naming rights. Ad esempio, lo stadio Allianz di Torino, grazie alla partnership con la compagnia assicurativa tedesca, ha assicurato un flusso di entrate.
“Se a tutte le iniziative in fase di sviluppo si aggiungono collaborazioni tra pubblico e privato, modernizzazione e tecnologie green, e un piano di comunicazione e negoziazioni efficaci, il futuro dello sport italiano continuerà a crescere e creare un impatto positivo sull’economia del Paese”, conclude Valerio Mancini.