Due podi quasi copia e incolla (per le situazioni) a distanza di 12 ore hanno sbattuto davanti agli occhi di tutti la lotta impari tra i Mondiali di Formula 1 e MotoGP. Le sensazioni sono state simili, gli effetti diversi. Al mattino presto, il candidato n.1 alla conferma sul trono delle monoposto, Lewis Hamilton, a Shanghai si è preso la vittoria lasciando però un buon sapore nella bocca dei tifosi italiani, perché la Ferrari di Sebastian Vettel ha ribadito (dopo la vittoria dell’Australia) di potersela giocare su ogni pista, quasi alla pari. Intanto il terzo incomodo Max Verstappen si godeva il massimo sperabile.
Dall’Argentina, a sera, si replicava col nuovo fenomeno Maverick Viñales che faceva il bis del Qatar, mettendo la sua impronta, dopo sole due gare, sul titolo al debutto con la Yamaha. Ma dietro, se non la speranza, almeno il sogno italiano Valentino Rossi, battuto nettamente due volte su due dal compagno di squadra, ma sempre vivo e in agguato in caso di errore (finora termine sconosciuto) dell’ingombrante nuovo arrivato. Terzo, anche qui, un outsider, Cal Crutchlow, pronto ad approfittare degli errori altrui, come questa volta la caduta del fuggitivo campione in carica Marc Marquez.
Due podi allo specchio. Ma uno specchio deformato dalla spropositata potenza di fuoco delle quattro contro le due ruote. Basti pensare ai budget, almeno dieci volte superiori: a spanne, per un team vincente di moto, 20 milioni contro almeno 200, se non di più delle auto. Allora le due foto dei podi diventano lo specchio di realtà opposte. A partire dalle premesse. Hamilton, Vettel e Verstappen scherzavano e commentavano la gara in un asettico salottino, con divani bianchi e mega schermo con i tempi. Vinales, Rossi e Crutchlow invece si scambiavano emozioni dietro il pannello in legno della premiazione.
Davanti, poi, le bandiere elettroniche che simulano anche il vento della F.1 contro gli stendardi in stoffa, tesi e impettiti della MotoGP. Per non parlare dello champagne, il patinato Moet&Chandon contro il cava spagnolo Freixenet: alzi la mano chi lo ha mai sentito (non bevuto). E, per inciso, il cronometraggio sponsorizzato da una parte dalla Rolex, dall’altro da Tissot. Svizzeri entrambi, ma…
A proposito di orologi, sul podio della Formula 1 si parla a sei zeri: IWC per Lewis, Hublot per Seb. Maverick e Valentino nemmeno lo mettono. Perché la Yamaha ha una sua linea, ma è roba da merchandising. Dove le due ruote si prendono la rivincita è nel casco, che per i formulisti non è nemmeno previsto. In F.1 quasi lo devono pagare, i motociclisti ne fanno una delle migliori voci di entrata, con ingaggi talvolta superiori al milione di euro: capite bene perché esultino sempre brandendolo felici in aria. Ma per il resto i marchi di sponsorizzazione sono sbilanciatissimi. Nelle auto spopolano le banche, ma anche l’elettronica, sconosciuta dall’altra parte della barricata (stranissimo, visto il target giovane che dovrebbe avere molto appeal). Nelle moto vanno forte la telefonia (anche tv) e soprattutto le bibite energetiche, che hanno preso il posto, in piccolo, dei “tabaccai” ormai vietati. La sublimazione della sponsorizzazione motociclistica sono la tuta e la moto di Crutchlow, per le quali il proprietario del team Lucio Cecchinello, ha inventato i marchi a rotazione: nomi che cambiano di gara in gara. E le cifre, per tutti, ovviamente mantengono la proporzione di cui si diceva prima: 10-1 quando va bene.
Perfino la tv la prende sottogamba. Sky, che mostra entrambi i campionati in esclusiva, ha mandato in Cina la squadra al completo per la Formula 1, che tra l’altro trasmetteva in piena notte o al mattino presto, mentre per la moto Valentino Rossi, nelle interviste del dopo gara, ha “svelato” che i commentatori erano rimasti a Milano, proprio in una gara che per il fuso orario andava considerata da “prime time”.
Insomma, non si capisce perché la Dorna, promotore del Motomondiale, si incaponisca a sfidare sul calendario il fratello maggiore, forse meno accattivante (anche se questa volta Cina ha battuto Argentina, seppure di misura, in fatto di spettacolo), ma sicuramente più potente. Ben otto concomitanze, con la follia delle prime due (appunto) e delle ultime tre, magari proprio quando si decide il campionato in contemporanea. Misteri irrisolti e, probabilmente, irrisolvibili. Intanto godiamoci due mesi di “esclusive”.
Filippo Falsaperla