Ascolta la nuova puntata del podcast “Azzurro Cenere”: https://open.spotify.com/episode/7fKbV3n5okHPDrXfY3wcmg?si=3cSDi66LQNihh37higuKuA
Emergere in Inghilterra, soprattutto se sei italiano, è veramente complicato. Perché a casa degli “inventori del calcio” non basta metter in campo la tecnica, serve anche coraggio e carattere, in maniera tale da sostenere sulle spalle il peso delle aspettative di migliaia di tifosi che, a pochi passi dal campo, pretendono una tua prestazione.
Sono quindi in pochi i connazionali che hanno lasciato un ricordo oltre Manica, spesso volentieri tornando fra le “patrie galere” per ritrovare lo spunto giusto. Prima della lunga trafila di “emigranti” che hanno solcato il confine della “Perfida Albione” a partire dagli Anni Novanta c’è stato un giocatore che ha fatto da apripista e per molti decenni è rimasto un unicum.
Si tratta di Attilio Fresia, nato il 5 marzo 1891 a Torino e divenuto ben presto uno dei più importanti talenti del movimento tricolore. Notato dal futuro commissario tecnico Vittorio Pozzo, il centrocampista piemontese si mette in mostra con la maglia granata prima di trasferirsi nel 1911 a Genova dove gioca per l’Andrea Doria e attira l’attenzione anche dei pluricampioni d’Italia del Genoa Cricket and Football Club, una formazione che ha nel nome come nello spirito un po’ d’Inghilterra.
All’epoca i calciatori devono essere come tutti gli sportivi dei dilettanti per cui non sono previsti esborsi economici per acquistare un giocatore da un’altra squadra. Il club rossoblù però punta a tornare presto ai vertici e così nell’estate del 1913 compra dal Milan Renzo De Vecchi, noto come il “Figlio di Dio”, e dall’Andrea Doria il terzetto delle meraviglie composto da Aristodemo Santamaria, Enrico Sardi e Attilio Frisia. Il neo-presidente Geo Davidson sborsa per la campagna acquisti ben 30.000 lire, tuttavia Santamaria e Sardi si fanno beccare mentre ritirano un assegno dal numero uno del Genoa e questo porta alla loro immediata squalifica.
La stessa pena toccherebbe anche a Frisia se non fosse che il centrocampista scopre una nuova strada, quella verso la Gran Bretagna. In attesa di sapere quale sarà il destino del Genoa per la stagione successiva, complice il rischio di radiazione dal campionato, la squadra allenata da William Garbutt partecipa alla tournée italiana del Reading FC, reduce dall’ottavo posto nella Southern League. Il 10 maggio 1913 gli inglesi insegnano agli italiani cosa sia il calcio e infliggono ai genoani una sonora sconfitta per 4-2.
Eppure quei due gol raccontano molto di Fresia, bravo a sgusciare fra linee difensive dei britannici che rimangono particolarmente colpiti e decidono di fargli un’offerta tramite Garbutt, traduttore per l’occasione. Fresia non ci pensa due volte e, per sole 17 sterline, si trasferisce all’estero. Un traguardo importantissimo che si aggiunge all’esordio in maglia azzurra del calciatore sabaudo, proprio nella sua Torino. Dieci giorni prima della sfida con il Reading FC Frisia quasi come un intruso visto che il selezionatore Umberto Meazza mette in campo ben nove giocatori della Pro Vercelli contro il Belgio, praticamente un record, battuto in futuro solo dal Grande Torino.
Insieme a Fresia c’è in campo anche De Vecchi, ma il risultato viene sbloccato ancora una volta da un uomo della Pro Vercelli, Guido Ara, entrato nella storia per aver segnato il primo gol su punizione anticipato da una finta. Al 53’ Giuseppe Milano finta il tiro che spezza il muro belga e così Ara ha tutto il tempo per tirare una bordata che buca la porta avversaria. Il risultato rimane intatto fino alla fine e Fresia può festeggiare il proprio esordio con 1-0 rimasto negli annali.
Qualche settimana dopo a quel punto il centrocampista torinese parte per l’Inghilterra, anche se la Federazione fa di tutto per impedirgli di lasciare l’Italia. I documenti non arrivano e per mesi Frisia è costretto a guardare i compagni in panchina. Nonostante la lingua non sembri un problema, quando arriva il momento di esordire, Fresia fa fatica a entrare negli schemi del Reading giocando solo poche partite e non trovando mai la strada per il gol.
“Fresia è soltanto utile sui terreni duri, e quasi inutile su quelli morbidi” commenta un giornale locale poco prima del suo rientro in patria dove è costretto a scontare la squalifica per professionismo. Veste quindi la maglia del Modena e a partire dal 1915 torna in campo nonostante l’arrivo della Prima Guerra Mondiale che lo costringe a prendere servizio nel reparto di artiglieria. Gli anni migliori passano proprio durante il conflitto tant’è che nel 1919 preferisce trasferirsi a Livorno prima di appendere l’anno successo gli scarpini al chiodo e rientrare in Emilia.
Manco il tempo di tornare a casa che arriva un’altra vantaggiosa proposta dall’estero, questa volta dal Brasile dove il Palestra Italia, squadra fondata da un gruppo di emigranti, gli propone la panchina. Ormai Fresia non può più giocare perché la tubercolosi gli sta mangiando i polmoni e l’aria salubre delle coste carioca potrebbe fargli bene. Nemmeno il tempo di arrivare in Brasile che il futuro Palmeiras sconfigge per 1-0 il Paulistano di Arthur Friedenreich e vince il primo campionato paulista.
Le condizioni peggiorano però velocemente, la nostalgia di casa si fa sentire e soprattutto la moglie Nerina Secchi fa di tutto per attraversare al più preso l’Atlantico. Ad Attilio non resta altro che tornare al Modena, ma il 14 luglio 1923 la lunga malattia si porta via Fresia a soli 32 anni. Una storia interrotta troppo presto per un giovane che, nella sua breve vita, è riuscito a trasformare il calcio italiano e non solo.